Dopo averne fatto la bandiera del suo mandato, la Presidente della Commissione europea, Ursula Von der Leyen, ha presentato il Green Deal europeo, il programma con cui punta a trasformare l'Unione Europea nel primo continente neutrale dal punto di vista climatico (ossia che emetta una quantità di CO2 almeno compensata da quella sottratta dall’atmosfera) entro il 2050 attraverso un piano di investimenti sostenibili. L’obiettivo è certamente ambizioso e punta a far divenire l’UE il leader mondiale nella lotta al cambiamento climatico.

Il Piano di investimenti previsto dal Green Deal europeo

Il Piano di investimenti mobiliterà, a partire dal bilancio UE e da strumenti complementari, almeno 1000 miliardi di euro destinati ad investimenti sostenibili nel settore pubblico e privato, nell’arco dei prossimi dieci anni, con lo scopo di transitare verso un’economia verde, competitiva, inclusiva e neutrale dal punto di vista climatico. L’obiettivo di questo piano è quello di creare un contesto in grado di agevolare e stimolare gli investimenti pubblici e privati nei settori climatico, ambientale e sociale per favorire la transizione verso la sostenibilità che interessi tutti gli Stati membri dell’UE.

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Il Piano di investimenti si declina su tre dimensioni, ciascuna delle quali coincide con gli obiettivi principali del Green Deal europeo. Queste sono:

  • finanziamenti: in primo luogo, il Piano di investimenti sbloccherà, attraverso il bilancio UE, almeno 1000 miliardi di euro entro i prossimi dieci anni, destinati a investimenti sostenibili. Il bilancio UE, dunque, destinerà una quota maggiore di spesa pubblica al clima e all’ambiente in modo da attirare anche fondi privati, grazie al ruolo chiave della Banca Europea per gli Investimenti (BEI);
  • quadro favorevole agli investimenti: il Green Deal europeo mira a fornire degli incentivi per sbloccare e riorientare gli investimenti pubblici e privati. In questo senso, l’Unione Europea agevolerà gli investitori facendo della finanza sostenibile il pilastro del sistema finanziario dell’UE; faciliterà investimenti sostenibili da parte delle autorità pubbliche incoraggiando pratiche di bilancio e appalti verdi e definendo strategie per agevolare le procedure di approvazione degli aiuti di Stato destinati alle regioni interessate dalla transizione giusta;
  • supporto pratico: la Commissione Europea affiancherà le autorità pubbliche e i promotori di progetti sostenibili durante tutte le fasi degli stessi, dalla pianificazione alla implementazione.

Just Transition Mechanism (JTM) – Il meccanismo per una transizione giusta

Il Just Transition Mechanism (JTM) è uno strumento fondamentale nella fase di transizione dell’UE verso un’economia verde che prescinde dai singoli contributi degli Stati membri al bilancio dell’UE. L’obiettivo principale è quello di assicurare che la transizione avvenga in maniera giusta ed equa, coinvolgendo tutti gli attori interessati senza alcuna discriminazione. A differenza del Piano di investimenti, che si propone di finanziare tutte le regioni allo stesso modo, il Meccanismo di transizione fornirà un supporto mirato alle regioni più colpite dalla transizione, per un totale minimo di 100 miliardi di euro tra il 2021 e il 2027, per ridurre l’impatto socio-economico della transizione. In questo modo, il Meccanismo creerà gli investimenti necessari per aiutare quei lavoratori e quelle comunità che più dipendono dalla filiera dei combustibili fossili.

Il Just Transition Mechanism sarà composto da tre fonti principali di finanziamento:

  • un fondo per una transizione giusta (Just Transition Fund), per il quale saranno stanziati 7,5 miliardi di euro di nuovi fondi UE previsti dalla proposta della Commissione per il prossimo bilancio UE a lungo termine. Per beneficiare dei fondi, ciascuno Stato membro, di concerto con la Commissione, dovrà identificare i territori ammissibili attraverso degli specifici piani territoriali di transizione. Inoltre, gli Stati membri dovranno impegnarsi a integrare ogni euro versato dal Fondo di transizione con i contributi previsti dal Fondo Europeo di Sviluppo Regionale e con il Fondo Sociale Europeo Plus, in aggiunta ad ulteriori risorse nazionali. Complessivamente, si prevede uno stanziamento tra i 30 e i 50 miliardi di euro, che favorirà ulteriori investimenti;
  • un apposito schema di transizione giusta nell’ambito di “InvestEU” volto a sbloccare fino a 45 miliardi di euro. L’obiettivo è quello di attirare investimenti privati ad esempio nei settori dell’energia sostenibile e dei trasporti per permettere alle regioni che ne beneficiano di individuare nuove fonti di crescita economica;
  • un programma di prestito per il settore pubblico con la BEI, previsto dal bilancio europeo e volto a sbloccare tra i 25 e i 30 miliardi di euro in investimenti. I prestiti saranno finalizzati, ad esempio, per la realizzazione di reti di teleriscaldamento e interventi di ristrutturazione degli edifici. I dettagli del programma saranno delineati in una proposta della Commissione europea a marzo 2020.

Il JTM non prevede solo finanziamenti: è infatti previsto che la Commissione europea fornisca supporto e assistenza tecnica agli Stati membri e agli investitori per fare in modo che tutti gli attori siano egualmente coinvolti nella transizione. Esso includerà anche un quadro di governance basato su piani territoriali di transizione giusta. Inoltre, seguirà da vicino e valuterà i progressi compiuti. Per questo, organizzerà un summit annuale sugli investimenti sostenibili rivolto a tutti i portatori di interessi e continuerà ad adoperarsi per promuovere e finanziare la transizione.

E l’Italia?

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Per quanto riguarda l’Italia, rimangono aperte alcune questioni tra le quali la più importane è il trattamento degli investimenti verdi ai fini del Patto di stabilità. Il Governo italiano ha inserito in Legge di Bilancio una norma specifica sul tema e, per questo, spinge affinché queste spese vengano escluse dal calcolo del deficit. È poco probabile che la Commissione Europea avalli una richiesta di questo tipo per evitare che qualche paese faccia passare sotto il cappello del Green Deal spese che avrebbe comunque sostenuto. Se ne saprà di più il mese prossimo. Anche il dossier Ilva di Taranto potrebbe rientrare nel pacchetto varato dalla Commissione Europea. Più in particolare, si fa riferimento a quelle risorse destinate al Fondo di transizione costituito per attutire gli effetti negativi sulle economie europee che, nel caso italiano, dovrebbe ammontare ad alcune centinaia di milioni di euro. Riassumendo, la dotazione per l’Italia sarà di 364 milioni di euro per gli investimenti assegnati dal JTF che porteranno a 4,8 miliardi totali attivabili dal Green Deal europeo.

Il Commento di Nomos

La spinta ideale alla base del Green Deal è certamente condivisibile ma bisogna fare i conti con i numeri. Da una parte, la scelta politica di destinare in dieci anni circa 1000 miliardi per la transizione ecologica, comprendendo gli investimenti pubblici e privati mobilitati anche attraverso lo strumento finanziario europeo denominato InvestEU, significa togliere risorse ad altri comparti oppure ad altre forme di energia (c’è chi critica, per esempio, l’esclusione del nucleare, al momento, una delle forme di energia a più basse emissioni di CO2 al mondo) da questa forma di finanziamento.

Dall’altra, l’UE incide in modo relativo sul computo delle emissioni di anidride carbonica a livello globale. Come riporta la Union of Concerned Scientists, nel 2018, il 44% delle emissioni totali di anidride carbonica provenivano dall’Asia (Cina, India, Giappone, Korea, Indonesia e Australia), il 20% dalle Americhe (Usa, Canada, Brasile e Messico), il 7% dall’Europa (Germania, Regno Unito, Turchia, Italia, Polonia e Francia) e il 4% dal Medio Oriente. Come si può facilmente intuire, il dato europeo, al netto di Regno Unito e Turchia, peserebbe solo per il 5% sulle emissioni totali mondiali (al livello della Russia). È chiaro quindi che l’ambizione dei leader europei di guidare la lotta al cambiamento climatico dovrà fare i conti con le decisioni prese dagli altri Paesi. Infine, il Green Deal sconta alcune resistenze interne perché dovrà avere la forza di convincere tutti i paesi membri dell’UE della necessità della transizione energetica. Al momento, i maggiori problemi potrebbero arrivare dalla Polonia che ha un sistema energetico ed economico estremamente dipendente dal carbone e dalla lignite. Per ovviare a ciò, è stato previsto un meccanismo che affiderà al paese est-europeo una grande fetta dei stanziamenti ma c’è preoccupazione per i costi economici e sociali che può comportare una transizione del genere e che potrebbero spingere la Polonia a non impegnarsi come gli altri stati membri a raggiungere la neutralità climatica entro il 2050.

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