Il 2020 è stato l’anno in cui il centro-destra ha confermato la sua forte presenza territoriale, ottenendo, con le elezioni di gennaio e settembre, 15 regioni su 20 (21 se si considerano le province autonome).
Questi nuovi equilibri hanno portato, alla scadenza del mandato di Stefano Bonaccini, ad un naturale cambio di rotta all’interno della Conferenza delle Regioni, organo che, nell’ultimo anno, ha avuto un peso sempre maggiore, soprattutto nella gestione della pandemia.
Teatro di concertazione tra «centro e periferia», la Conferenza, ha portato all’adozione di diverse importanti decisioni, nel corso degli ultimi mesi, sia in materia di chiusure/riaperture, con le apposite linea guida, sia sulle procedure di vaccinazione e sulla gestione delle campagne vaccinali.
L’emergenza e la risposta dei territori hanno riaperto il dibattito sulle competenze regionali, come modificate dalla riforma costituzionale del 2001. I diversi approcci, l’andamento delle vaccinazioni e la diversa capacità di risposta, hanno portato a riparametrare il ruolo dei «Governatori» soprattutto in presenza di una situazione emergenziale. Questo cambio dovrebbe andare verso un maggiore accentramento di competenze in capo allo Stato, in vista di futuri interventi omogenei su tutto il territorio.
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