Tra pochi giorni, il (primo?) settennato di Sergio Mattarella volgerà al termine. A partire, infatti, dalle 15.00 di lunedì 24 gennaio il Presidente della Camera, Roberto Fico, darà ufficialmente avvio alle procedure di voto che porteranno all’elezione del nuovo Presidente della Repubblica. La Costituzione prevede che, per essere eletto, il nuovo presidente della Repubblica debba raggiungere nei primi tre scrutini il quorum dei due terzi dei componenti dell’Assemblea (673 voti), mentre dal quarto scrutinio in poi basterà raggiungere la maggioranza assoluta dei votanti (505 voti). La previsione in Costituzione di un primo quorum molto elevato risponde all’esigenza di “obbligare” i partiti ad accordarsi nella scelta di un nome trasversale che possa garantire l’unità istituzionale dello Stato. Il secondo quorum, invece, risponde all’esigenza di non rendere lo stallo istituzionale perenne.  

Alla luce di queste considerazioni, la situazione rimane molto ingarbugliata per il fatto che nessuno schieramento ha i numeri per eleggere un proprio candidato in autonomia. Questo stallo quasi sicuramente renderà i primi tre scrutini meramente interlocutori e sta creando le condizioni per l’emersione di candidature trasversali. La più accreditata sembra quindi proprio quella del Presidente del Consiglio, Mario Draghi, con la diretta conseguenza che i partiti di maggioranza, per scongiurare lo spettro delle elezionianticipate, debbano ragionare anche su un eventuale nuovo nome da mandare a Palazzo Chigi. Sembra invece escluso, nonostante il pressing di alcune forze politiche, un secondo mandato per Sergio Mattarella che non vorrebbe far diventare una prassi ciò che è accaduto a Giorgio Napolitano nel 2013.

Nessuna coalizione ha la maggioranza dei grandi elettori

La peculiarità della procedura per l’elezione del Presidente della Repubblica non risiede tanto nelle modalità di voto, quanto nel corpus elettorale che si riunirà a Montecitorio per l’elezione del tredicesimo Capo dello Stato. In questa tornata, ai 315 senatori, a cui si aggiungono i 6 senatori a vita, 630 deputati vanno sommati i 58 delegati regionali per un totale di 1.009 grandi elettori (vedi Speciale Nomos - Regole e numeri per l'elezione del Presidente della Repubblica).  

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Per la prima volta, il centrodestra si presenta ai nastri di partenza con la maggioranza relativa dei voti dei grandi elettori (456 su 1009, pari al 45,2%). Andando nello specifico troviamo la Lega con 212 grandi elettori, FI con 124, FdI con 63 e Coraggio Italia, il partito di Toti e Brugnaro, con 32. Chiudono il cerchio i 5 grandi elettori dell’Udc e i 10 appartenenti ad altre sigle minori moderate come Noi con l’ItaliaUsei e Rinascimento del regista dell’operazione “Scoiattolo” Vittorio Sgarbi. 

Il centrosinistra allargato presenta 427 grandi elettori, pari al 42,3%. La parte del leone la gioca, almeno formalmente, il M5S(235 grandi elettori) seguito da PD (154) e LeU (17). Completano il quadro i 6 grandi elettori di Centro democratico del sottosegretario Bruno Tabacci, i 5 degli ambientalisti di Facciamo Eco e i 10 delle sigle minori progressiste quali PSI di Riccardo Nencini e IdV di Elio Lannutti. 

I centristi, invece, sono 51 tra cui i 44 per Italia Viva e i 5 per la federazione tra Azione di Carlo Calenda e +Europa. Nonostante non si sia presentata alle scorse elezioni in modo autonomo, in Parlamento si è creata un’alleanza tra le varie forze alla sinistra della triade M5S-PD-LeU a partire da Sinistra Italiana di Nicola Fratoianni (4 voti). Sono 43 i grandi elettori riconducibili a quest’area, quasi tutti provenienti dal M5S come i fuoriusciti di Alternativa C’è (20). Completano il quadro gli Autonomisti (10 grandi elettori provenienti dai rispettivi gruppi di parlamentari a cui si aggiungono due delegati regionali valdostani e altoatesini), i 6 senatori a vita e gli esponenti di alcuni partiti minori (Maiedell’ex sottosegretario del Conte I, Riccardo Merlo, i no-vax e no-euro di Italexit).

 

I delegati regionali: tra spinte locali e disciplina di partito

In appendice, l’elenco dei 58 delegati regionali suddivisi per Regione, ruolo istituzionale e partito di provenienza

Alle votazioni per eleggere il presidente della Repubblica, insieme ai deputati e ai senatori, parteciperanno anche i 58 delegati regionali nominati negli ultimi giorni dai consigli regionali. In base all’articolo 83 della Costituzione, ogni regione deve eleggere tre delegati che parteciperanno alle procedure di voto: il Trentino-Alto Adige conta come un’unica regione, mentre la Valle d’Aosta ha a disposizione solo un delegato. 

È oramai prassi consolidata che vengano scelti, per ogni regione, il Presidente di Regione, il Presidente del Consiglio e un consigliere dell’opposizione (spesso e volentieri il candidato presidente sconfitto alle ultime elezioni regionali), mentre la già citata Valle D’Aosta elegge solo il presidente della Giunta regionale. Tuttavia, nel corso del tempo si è più volte discusso della possibilità di nominare altri amministratori locali, senza mai giungere ad una ricaduta pratica positiva.

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Lo schema politico di selezione dei candidati è stato simile ovunque: nelle regioni governate dal centrosinistra FdI, Lega e FI si sono contese il delegato d’opposizione mentre in quelle amministrate dal centrodestra la sfida per il grande elettore di minoranza è stata tra PD e M5S. Il quadro che emerge è quello di un centrodestra che potrà contare su 32 rappresentanti, il centrosinistra su 24 e 2 saranno i delegati autonomisti (il presidente del Consiglio provinciale di Bolzano, Josef Noggler del SVP e il governatore della Valle d’Aosta, Erik Lavevaz dell’Union Valdôtaine). 

Più nel dettaglio, il partito più rappresentato è il PD, con 20 delegati, seguito dalla Lega con 15, poi FI con 8, FdI con 5, il M5S con 4 e l’Udc con 2. A chiudere il cerchio un rappresentante a testa per il SVP, l’Union ValdôtaineCambiamo!, con il suo leader e governatore della Liguria Giovanni Toti, e Diventerà Bellissima, con il presidente della regione Sicilia, Nello Musumeci. 

Proprio in Sicilia, la votazione per nominare i delegati ha suscitato qualche polemica. Il presidente Musumeci, infatti, è arrivato soltanto terzo come numero di preferenze

dietro al presidente dell'Assemblea Regionale Siciliana, Gianfranco Miccichè di FI e a Nunzio di Paola del M5S, minacciando di azzerare la propria giunta, per poi fare dietrofront. Anche in Lombardia non tutto è andato secondo programma: il PD non è riuscito a far eleggere il proprio delegato. Infatti, oltre al governatore Attilio Fontana e al presidente del Consiglio regionale Alessandro Fermi (entrambi della Lega), l’assemblea del Pirellone ha scelto di spedire a Roma il consigliere del M5S Dario Violi, che ha battuto il candidato il Capogruppo PD Fabio Pizzul. 

Al netto di questi piccoli casi politici, è bene ricordare che i 58 delegati regionali corrispondo a circa il 6% dei 1009 “grandi elettori”. Sebbene risulti complicato stabilire quanto saranno effettivamente determinanti i loro voti, non è da sottovalutare il loro peso a partire dal quarto scrutinio. Dopo la pandemia, infatti, i presidenti delle regioni sono diventati veri e propri politici di rilievo nazionale (si pensi al veneto Zaia e all’emiliano Bonaccini, i due principali competitor dei segretari di Lega e PD) e il voto del Quirinale potrà essere un palcoscenico dove mettersi ancor di più in mostra nel dibattito politico italiano. Inoltre, la rilevanza dei delegati regionali ha un precedente storico: il presidente Napolitano, in occasione della sua rielezione, ha spiegato che a fargli accettare il secondo mandato è stata proprio la forte spinta dei rappresentanti regionali. 

L’elezione del Presidente della Repubblica mette alla prova i partiti

In una tipologia di elezione storicamente contraddistinta da veti incrociaticandidature bruciate e franchi tiratori, giocheranno ora più che mai un ruolo centrale i vertici politici, ufficiali o ufficiosi che siano, dei vari partiti. Terminato, infatti, il bipolarismo della Seconda Repubblica contraddistinto da una forte polarizzazione ma che aveva perlomeno il vantaggio di vedere riconosciute alcune leadership autorevoli all’interno dei due campi politici, ciò che emerge ora è una notevole frammentazione dello schieramento politico che, in assenza di forti strutture partitiche e scarsa capacità di tessere relazioni trasversali, rende molto complicato strutturare una progettualità politica definita. 

Una frammentazione che impedisce di individuare chiaramente una king-maker capace di proporre con autorevolezza e forza un nome condiviso e costruire un consenso capace di resistere alla buriana delle prime votazioni e approdare incolume al quarto scrutinio. Il centrodestra, per la prima volta nella sua storia, gode della maggioranza relativa dei voti dei grandi elettori (456 su 1009, pari al 45,2%) e ha provato a intestarsi questo ruolo soprattutto nella figura di Matteo Salvini. L’autocandidatura di Silvio Berlusconi, anche se con risicate possibilità di successo, ha costretto Lega e Fratelli d’Italia ad un appoggio formale che ha congelato le trattative con le altre forze politiche di maggioranza. Una mossa che, però, ha riproposto la centralità politicadell’85enne uomo di Arcore che guida un partito molto lontano dai fasti del 1994, 2001 e 2008.

Nel campo del centrosinistra allargato la difficoltà maggiore risiede nel tenere insieme le varie anime della coalizione: Enrico Lettasta provando a riposizionare il PD come il centro dell’asse politico che guarda principalmente a M5S e LeU ma che non disdegna anche alcune aperture al centro e a sinistra ben conscio che da quelle interlocuzioni passano le sue chance di eleggere un presidente della Repubblica non dichiaratamente di centrodestra. E infine, l’elefante nella stanza, vale a dire la candidatura di Mario Draghiche, a parole, mette d’accordo tutti ma non convince appieno nessuno per le possibili ripercussioni negative sul nuovo Governo e con il rischio di elezioni anticipate che potrebbe diventare, in questo caso, molto probabili. 

Per comprendere le cause che stanno spingendo l’attuale premier al Quirinale, è opportuno ricostruire il percorso politico che partiti e coalizioni stanno seguendo.

Berlusconi ha poche chance. La Lega lavora ad un piano B

Il centrodestra si presenta alla partita del Colle con la volontà di essere compatto e consapevole dell’occasione storica che ha tra le mani: mai prima d’ora ha avuto i numeri per esprimere il nome del Presidente della Repubblica, potendo contare su 424 parlamentari e 32 delegati regionali che lo proiettano a una cinquantina di voti dalla maggioranza assoluta, sufficiente a partire dal quarto scrutinio. Questo macro-obiettivo di coalizione si scontra con la necessità di non portare avanti soluzioni muscolari che potrebbe avere ripercussioni sulla tenuta del Governo e con i desideri di FI, Lega e FdI che puntano, ognuno a proprio modo, a influenzare e guidare le scelte e le decisioni degli alleati. A poco più di un anno dalle prossime elezioni politiche (almeno sulla carta), è ancora in ballo la leadership della coalizione con FdI e Lega quasi appaiate nei sondaggi e con FI che tenta una rincorsa disperata ma non infondata.

FI, la prova di forza di Silvio ha rimesso la chiesa al centro del villaggio

Proprio in virtù della sua posizione da comprimario, Silvio Berlusconi ha provato a sparigliare le carte. E ci è riuscito. L’autocandidatura al Colle dell’uomo di Arcore ha ribadito una centralità politica che sembrava oramai persa e lo pone, potenzialmente, come il vero regista della partita. Dal momento, infatti, che sembra improbabile una sua elezione per le difficoltà di trovare voti nello schieramento opposto, Berlusconi potrebbe fare un passo indietro e contestualmente indicare un nome buono per il centrodestra ma non indigesto anche a centristi e progressisti. È probabile che questo nome sarà quello di Draghi (il preferito da FI prima della discesa in campo del suo leader), su cui tutti i partiti comunque stanno ragionando in queste ore, ma anche un profilo moderato per mantenere buoni rapporti con l’ala governista del partito. 

Lega, Salvini lavora al piano B e a novità nel Governo

Il coup de théâtre berlusconiano ha stravolto la strategia di Matteo Salvini che aveva impostato la propria azione politica cercando di porsi come il referente del centrodestra di governo. Il Capitano ha reagito, da un lato, assicurando formalmente il voto dei suoi grandi elettori a Berlusconi, dall’altro lavorando ad un piano B che sembra sempre più il vero piano A. Oltre ad un rosa di nomi che verrà presto fornita (si parla di Giulio TremontiFranco FrattiniMaria Elisabetta Casellati e Letizia Moratti), l’attenzione è puntata su Mario Draghi ed è per questo che Salvini, in queste ore, sta intensificando i colloqui sia con gli alleati sia con gli avversari (Conte e Letta in testa) discutendo soprattutto dell’eventuale nuovo Governo. 

L’idea del Carroccio è di riproporre il modello del Conte I, vale a dire un Presidente del Consiglio di garanzia (come Marta Cartabria) e in posizioni preminenti tutti i leader politici (si vocifera che Salvini vorrebbe il Mims per poter gestire le nomine). 

Fratelli d’Italia, Meloni vorrebbe elezioni anticipate

 Situazione più semplice quella che deve fronteggiare Giorgia Meloni. Forte del ruolo di unica opposizione al Governo Draghi e del vento in poppa nei sondaggi, FdI può portare avanti tranquillamente il percorso di istituzionalizzazione per rendere più credibile e seria la proposta politica meloniana. Nonostante, a parole, si faccia sempre riferimento alle elezioni come la strada maestra per risolvere la crisi politica che si innescherebbe dal passaggio di Draghi al Colle, FdI non sembra interessata a spingere per tornare immediatamente alle urne. L’orizzonte è il 2023 e l’obiettivo numero uno dei conservatori è quello di non rompere l’unità del centrodestra dal momento che solo questa alleanza consentirebbe a Giorgia Meloni di avere delle chance concrete di andare a Palazzo Chigi nel 2023.

Per Coraggio Italia, Draghi rimane il preferito

Chi sta giocando una partita a parte è il partito del governatore della Liguria Giovanni Toti e del sindaco di Venezia, Luigi BrugnaroCoraggio Italia, che rivendica un ruolo cruciale con i suoi 32 grandi elettori. Dopo la mancata realizzazione del progetto di federazione con Italia Viva per il Colle e l’eventuale nuovo esecutivo, i leader di Coraggio Italia hanno rassicurato Berlusconi ma preferirebbero Draghi come soluzione di garanzia e di continuità. Rimangono sullo sfondo altri candidati centristi come Pierferdinando Casini e Franco Frattini che potrebbero trovare anche l’avvallo dei partiti più piccoli UdCNoi con l’Italia di Maurizio Lupi e Rinascimento di Vittorio Sgarbi

I giallorossi alla prova del fuoco: prove d’intesa tra PD, M5S e LeU

La discesa in campo di Silvio Berlusconi ha avuto l’effetto di ricompattare le forze politiche giallorosse. Il no categorico al Cavaliere ha contribuito alla necessità di PD, M5S e LeU di far fronte comune per evitare che il prossimo Presidente della Repubblica fosse eletto esclusivamente dal centrodestra. Una possibilità che avrebbe avuto come diretta conseguenza la fine della legislaturacon l’immediato ritorno alle urne. Questo percorso, accompagnato dall’elezione di un Capo della Stato non sgradito, potrebbe, quindi, rilanciare l’azione politica comune contribuendo, forse in maniera determinate, alla costruzione di quel campo largo più volte evocato dal segretario del PD, Enrico Letta.

PD, Letta punta su Draghi per rinsaldare l’asse con il M5S ed evitare il voto

Nel Partito Democratico la strategia sembra piuttosto chiara. Il Segretario Enrico Letta ha più volte chiarito che il prossimo Presidente della Repubblica debba essere una personalità non politica e super partes e votata a larga maggioranza. Il nome del PD, che anche oggi dimostra di essere un partito filogovernativo, è quello di Mario Draghi. Escludendo la disponibilità a votare un candidato smaccatamente di centrodestra ed essendo consapevole di non avere i numeri per poter guidare la scelta del prossimo Capo dello Stato, per il Nazareno la soluzione più vantaggiosa sembra essere quella dell’attuale premier. Soluzione che risulterà vincente a condizione di portare tutta la coalizione sulla stessa posizione e, soprattutto, scongiurando ogni possibile scivolone generato dal voto segreto così da non ricadere in una situazione simile a quella del 2013 quando Romano Prodi venne fatto fuori dai 101. Su questa eventualità, non sono tanto le dinamiche interne al PD a preoccupare quanto più quelle del M5S.

In questo quadro, il ruolo di LeU è molto schiacciato sulla linea del PD anche in vista di un probabile rientro all’interno del partito dell’ala facente capo a Massimo D’Alema. In ogni caso, le posizioni interne sono diversificate: basti pensare alle perplessità sull’operazione Draghi espresse da Pierluigi Bersani. La linea del partito è rappresentata dal Ministro della Salute, Roberto Speranza.

M5S, Conte naviga tra Matterella-bis e incarico a Draghi 

Il Movimento 5 Stelle arriva al voto per il Presidente della Repubblica in grande affanno. Giuseppe Conte, che ha avviato la rifondazione del Movimento, è alle prese con le forti fibrillazioni interne che ancora, però, non è riuscito a governare. Il no a Berlusconi, possiamo dire, ha ricompattato il partito. Per i parlamentari grillini, la candidatura del Cavaliere è divisiva e, per questo, irricevibile, mentre l’opzione di proporre la senatrice a vita, Liliana Segre, come candidata al Colle non scalda fino in fondo la compagine pentastellata. La fase nuova che si è aperta all’interno dei giallorossi ha permesso a Conte di riprendere in mano l’iniziativa del confronto con le altre forze politiche e di lavorare per scongiurare ogni possibilità di tornare al voto. Poche ore dopo l’accordo con il PD e LeU ha incontrato Matteo Salvini e riunito i gruppi parlamentari per un confronto aperto. In diversi, come Toninelli e Di Nicola, si sono espressi per un Mattarella Bis e in molti, però, hanno guardato con favore all’ipotesi di votare Mario Draghi. Al momento però i grandi elettori del M5S non sono ancora convinti e in molti sono pronti a scommettere che non tutti seguiranno le indicazioni di Giuseppe Conte e dell’area governista. In questo quadro, non è da sottovalutare la vicinanza tra Luigi Di Maio e Pierferdinando Casini che potrebbe schiudere a scenari interessanti nel caso di uno stallo decisionale. Conte comunque è chiamato a mediare e a garantire che non si vada a votare e si formi un nuovo Governo, l’alleanza con il PD e LeU, e soprattutto che il M5S non vada in crisi.

IV, Azione e +Europa lavorano per far continuare la legislatura 

I partiti che occupano il centro dello scacchiere politico, Italia VivaAzione e +Europa sono portatori di un tesoretto che vale 50 voti e che sarà decisivo per le sorti delle elezioni per il Quirinale. Il leader di Italia Viva, Matteo Renzi, esclude di portare avanti l’opzione Mattarella-bis così come quella di Berlusconi ma si tiene le mani libere a partire soprattutto dalla quarta votazione. Il punto nodale su cui sta insistendo, in sintonia con Azione e +Europa, è la stipula di un “patto di legislatura” fra tutte le forze politiche per evitare un’impasse nel caso in cui Draghi approdasse al Quirinale. 

A sinistra, secco no a Draghi

I partiti della sinistra che sta all’opposizione del Governo possono contare su una quarantina di grandi elettori e sono concordi nel bollare come irricevibili le candidature sia di Berlusconi sia di Draghi. Da SI, il partito di Nicola Fratoianni, inoltre, arriva anche la bocciatura dell’ipotesi Mattarella-bis. Al momento, il grosso dei grandi elettori si sta muovendo per supportare Paolo Maddalena, vicepresidente emerito della Corte costituzionale. Il magistrato, infatti, viene proposto da alcuni ex 5 Stelle confluiti nel gruppo Misto ma anche da parlamentari provenienti da Alternativa c’è Partito Comunista (Potere al popolo dopo un’iniziale nulla osta si è sfilato).

Chi sarà il prossimo Presidente della Repubblica?

A pochi giorni dall’inizio delle procedure di voto per l’elezione del prossimo Presidente della Repubblica, sono poche le candidatureche hanno resistito, più o meno indenni, ai veti incrociati dei partiti. La prima di queste è quella del Presidente uscente Sergio Mattarella a cui verrebbe chiesto di prendere una decisione come quella di Napolitano nel 2013: di fronte ad un sistema in stallo e con alcune crisi urgenti da risolvere (attuazione del PNRR e gestione della pandemia), l’ex giudice della Consulta dovrebbe rimanere al proprio posto almeno fino alla fine della legislatura per permettere a Mario Draghi di continuare il suo lavoro a Palazzo Chigi. Questo disegno si scontra con indisponibilità dell’attuale inquilino del Quirinale ad un secondo mandato per evitare che l’eccezione di Napolitano diventi consuetudine. La sua candidatura è da ritenersi, quindi, in forte ribasso nonostante le dichiarazioni favorevoli di una larga parte del M5S

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In forte calo anche le possibilità di Silvio Berlusconi di arrivare al Colle. Le motivazioni, in questo caso, riguardano la forte carica divisiva che la sua candidatura ha innescato nel dibattito pubblico. Questo non garantirebbe, anche in caso di elezione, un proseguimento dell’esperienza di Mario Draghi al Governo a causa delle quasi certe defezioni di PD, M5S e LeU con le sopracitate conseguenze. L’ex premier ha tentato in queste settimane di raccogliere il consenso necessario per raggiungere i 505 voti necessari a partire dalla quarta votazione ma i malumori emersi, anche all’interno dei suoi alleati, potrebbero rendere velleitario il suo tentativo.

Il terzo nome in campo, quello di Mario Draghi, è attualmente il più gettonato anche se non scevro da rilevanti criticità che potrebbero comprometterne la buona riuscita. Da un lato, un settennato di Draghi al Colle garantirebbe gli interlocutori europei ed internazionali sulla stabilità del sistema politico italiano ma, di fatto, indebolirebbe il Governo in una fase storica in cui all’Italia è richiesto di agire prontamente seguendo il percorso delle riforme delineato nel PNRR. Non è un caso, infatti, che i suoi maggiori sponsor come PD e Lega stiamo lavorando alla definizione di un accordo di governo alternativo che mantenga, nei fatti, la stessa formula politica che ha indirizzato fino ad oggi l’attività della maggioranza. L’auspicata vicinanza tra Quirinale e Chigi potrebbe essere garantita da una promozione di alcuni “draghiani di stretta osservanza” come Marta Cartabria e Daniele Franco.

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Oltre ai tre nomi principali, nelle scorse settimane sono emerse svariate candidature. Per quanto riguarda i possibili candidati di centrodestra, troviamo due donne come la Presidente del Senato, Maria Elisabetta Casellati e l’attuale vicepresidente e assessore al Welfare di Regione Lombardia ed Ministro all’istruzione nel Berlusconi II e III, Letizia Moratti. Gli altri candidati più gettonati sono l’ex Presidente della Camera (2001-2006) ed ex presidente dell’UdC, Pier Ferdinando Casini, che potrebbe riscuotere consensi anche nel centrosinistra; Franco Frattini, ex Ministro agli affari esteri nel Berlusconi II e III e attuale Presidente del Consiglio di Stato; Gianni Letta, ex Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio di tutti i Governi Berlusconi; Marcello Pera, ex Presidente del Senato (2001-2006) per FI; Giulio Tremonti, ex Ministro dell’economia in tutti i quattro governi berlusconiani che gode anche di un ottimo rapporto anche con la Lega. 

Per il centrosinistra, si fanno quattro nomi che potrebbero trovare una sponda anche in altri gruppi: Giuliano Amato, con due esperienze a Palazzo Chigi dal 1992 al 1993 (Quadripartito) e dal 2000 al 2001 (centrosinistra); l’attuale Commissario europeo per l’economia, Paolo Gentiloni, a Palazzo Chigi dal 2016 al 2018 per il centrosinistra; l’ex leader dell’Ulivo e Premier di centrosinistra in due distinte occasioni (1996-1998 e 2006-2008) Romano Prodi; l’ex sindaco di Roma (2001-2008) e segretario del PD (2007-2009), Walter Veltroni. Chiude il cerchio, l’attuale Ministro della giustizia ed ex Presidente della Consulta, Marta Cartabia.

Tabella dei 58 delegati regionali

Regione

Delegato

Carica

Partito

 

 

Abruzzo

Marco Marsilio

Presidente della Regione

Presidente del Consiglio

Capogruppo

FdI

FI

M5S

 

Lorenzo Sospiri

 

Sara Marcozzi

 
 

Basilicata

Vito Bardi

Presidente della Regione

Presidente del Consiglio

Consigliere

FI

Lega

PD

 

Carmine Cicala

 

Roberto Cifarelli

 
 

Calabria

Roberto Occhiuto

Presidente della Regione

Presidente del Consiglio

Capogruppo

FI

Lega

PD

 

Filippo Mancuso

 

Nicola Irto

 
 

Campania

Vincenzo De Luca

Presidente della Regione

Presidente del Consiglio

Capogruppo

PD

PD

FI

 

Gennaro Oliviero

 

Annarita Patriarca

 
 

Emilia-Romagna

Stefano Bonaccini

Presidente della Regione

Presidente del Consiglio

Consigliere

PD

PD

Lega

 

Emma Petitti

 

Matteo Rancan

 
 

Friuli-Venezia Giulia

Massimiliano Fedriga

Presidente della Regione

Presidente del Consiglio

Consigliere

Lega

FI

PD

 

Mauro Zanin

 

Sergio Bolzonello

 
 

Lazio

Nicola Zingaretti

Presidente della Regione

Presidente del Consiglio

Capogruppo

PD

PD

FdI

 

Marco Vincenzi

 

Fabrizio Ghera

 
 

Liguria

Giovanni Toti

Presidente della Regione

Presidente del Consiglio

Consigliere

Cambiamo!

Lega

PD

 

Gianmarco Medusei

 

Sergio Rossetti

 
 

Lombardia

Attilio Fontana

Presidente della Regione

Presidente del Consiglio

Consigliere

Lega

Lega

M5S

 

Alessandro Fermi

 

Dario Violi

 
 

Marche

Francesco Acquaroli

Presidente della Regione

Presidente del Consiglio

Capogruppo

FdI

Udc

PD

 

Dino Latini

 

Maurizio Mangialardi

 
 

Molise

Donato Toma

Presidente della Regione

Presidente del Consiglio

Consigliere

FI

Udc

M5S

 

Salvatore Micone

 

Andrea Greco

 
 

Piemonte

Aberto Cirio

Presidente della Regione

Presidente del Consiglio

Consigliere

FI

Lega

PD

 

Stefano Allasia

 

Domenico Ravetti

 
 

Puglia

Michele Emiliano

Loredana Capone

Giannicola De Leonardis

Presidente della Regione

Presidente del Consiglio

Vicepresidente Consiglio

PD

PD

FdI

 
 
 
 

Sardegna

Christian Solinas

Michele Pais

Gianfranco Ganau

Presidente della Regione

Presidente del Consiglio

Capogruppo

Lega-PSd'Az

Lega

PD

 
 
 
 

Sicilia

Nello Musumeci

Gianfranco Miccichè

Nunzio Di Paola

Presidente della Regione

Presidente dell'Assemblea 

Deputato

Diventerà Bellissima

FI

M5S

 
 
 
 

Toscana

Eugenio Giani

Antonio Mazzeo

Marco Landi

Presidente della Regione

Presidente del Consiglio

Consigliere

PD

PD

Lega

 
 
 
 

Trentino-Alto Adige

Maurizio Fugatti

Josef Noggler

Sara Ferrari 

Presidente Prov. Trento

Presidente Cons. Bolzano

Consigliera

Lega

Svp

PD

 
 
 
 

Umbria

Donatella Tesei

Presidente della Regione

Lega

FdI

PD

 

Marco Squarta

Presidente del Consiglio

 

Fabio Paparelli

Consigliere

 
 

Valle d’Aosta

Erik Lavévaz

Presidente della Regione

Union Valdôtaine

 
 

Veneto

Luca Zaia

Roberto Ciambetti ­

Giacomo Possamai

Presidente della Regione

Presidente del Consiglio

Capogruppo

Lega

Lega

PD

 
 
 

 

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Le mosse dei partiti per eleggere il nuovo PdR - 21 gennaio 2022