Le forze politiche celebrano il Giorno della Memoria
Giorgia Meloni, nel suo terzo Giorno della Memoria da premier, non esita a puntare il dito contro gli orrori che si consumarono durante il ventennio, con “l'infamia delle leggi razziali e il coinvolgimento nei rastrellamenti e nelle deportazioni”. Una condanna dura ed esplicita che ribadisce e rafforza quella del 2024 (quando puntò il dito contro la “malvagità del disegno criminale nazifascista”) cui segue un annuncio: è in arrivo la nuova strategia nazionale per la lotta all'antisemitismo, “un documento articolato e di scenario che fissa obiettivi e azioni concrete per contrastare un fenomeno abietto che non ha diritto di cittadinanza nelle nostre società”.
A parlarne è anche Antonio Tajani: “ricordare è un dovere, agire una responsabilità alla quale siamo chiamati tutti”. Dalla Lega, invece, Matteo Salvini mette in guardia sul “mostro antisemita” che si è riaffacciato nella società e nella politica: “Il Giorno della Memoria rischia purtroppo di perdere il suo fondamentale significato davanti a un clima politico generale che ne insulta il fondamento. Nella critica a Israele si è trovata la giustificazione per i peggiori sentimenti antiebraici”.
Il presidente del Senato, Ignazio La Russa, rende omaggio alle vittime. Quello della Camera, Lorenzo Fontana, parla di Auschwitz. sSecondo Elly Schlein la memoria dell'Olocausto, “il male assoluto”, deve essere tenuta viva a maggior ragione “oggi, mentre l'odio continua a farsi largo nelle nostre società e si consumano nuove tragedie”.
Nel frattempo, il Capo dello Stato Sergio Mattarella arriva ad Auschwitz per partecipare, con decine di leader politici e teste coronate, alla cerimonia per gli 80 anni dalla liberazione del campo di concentramento tedesco, nei palazzi romani si svolgono numerose conferenze e iniziative a tema.
Meloni rilancia il partenariato con l’Arabia Saudita
Giorgia Meloni, poco prima di giungere in Bahrein per il bilaterale con re Hamad bin Isa Al Khalifa, risponde a chi mette in dubbio la sua coerenza. Ribadisce che il percorso di avvicinamento tra Roma e Riad negli ultimi due anni ha effettivamente avuto un'accelerazione, questo perché “siamo focalizzati sul Mediterraneo allargato e nel Mediterraneo allargato, ovviamente, le nazioni del Golfo assumono una centralità strategica e l'Arabia Saudita è un attore di primo piano”. Meloni ha deciso di elevare il livello di collaborazione dell’Italia al partenariato strategico, con un Consiglio di cooperazione che si riunirà periodicamente per registrare come sta avanzando il lavoro comune sulle materie prioritarie individuate. Questa misura risulta necessaria specialmente in forza delle due guerre ancora oggi in corso, che minano la stabilità ed economia del Paese.
Sono le nuove sfide geopolitiche, secondo la premier, a giustificare il lancio di “una fase nuova della cooperazione strategica” con Riad. C'è sicuramente bisogno di rinforzare il lavoro sul Continente africano, dove l'Italia è fortemente impegnata con il suo Piano Mattei. Ma urge anche stabilizzare il Medio Oriente il che significa costruire le basi per una soluzione dei due Stati ma anche riprendere il processo di normalizzazione dei rapporti tra Arabia Saudita e Israele che fu drasticamente interrotto con l'attacco di Hamas del 7 ottobre.
Meloni indagata sul caso Almasri
Giorgia Meloni annuncia di essere indagata per favoreggiamento e peculato. Insieme a Carlo Nordio, Matteo Piantedosi e Alfredo Mantovano, ha ricevuto per la gestione del caso del comandante libico Najeem Osema Almasri Habish, arrestato e poi rilasciato e riportato in Libia con un aereo di Stato dei servizi. La notifica arriva dal procuratore capo di Roma Francesco Lo Voi, “quello del fallimentare processo” contro Matteo Salvini su denuncia di Luigi Li Gotti “molto vicino a Romano Prodi”, puntualizza la premier ribadendo, in un messaggio tanto breve quanto duro, che lei non è “ricattabile” e non si lascerà “intimidire” dalla Magistratura.
Scatta immediata la reazione di tutto il centrodestra che, sul tema giustizia, dai tempi di Silvio Berlusconi parla con una voce sola: si tratta di una “ripicca” per la separazione delle carriere che giusto oggi riprenderà il suo cammino in Senato, che non fermerà la riforma, come dicono quasi all'unisono Antonio Tajani e Matteo Salvini. Si tratta di un'azione che sarà un boomerang, si dicono sicuri nel centrodestra, e che non è affatto “dovuta”, questo il ragionamento che si fa ai piani alti del Governo, visto che ci sono “tanti esposti” nei confronti di Ministri che non hanno seguito, ad esempio “sulla condizione delle carceri”. A poco servono le precisazioni dell'Anm e la trasmissione degli incartamenti al Tribunale dei Ministri, la maggioranza risponde al fuoco e attacca i giudici.
Si tratta però, spiega l'Associazione nazionale magistrati, di un “atto dovuto” da parte della Procura di Roma, di una “comunicazione di iscrizione” come previsto dalla legge che “dispone, omessa ogni indagine” di “trasmettere” gli atti e di darne “immediata comunicazione” agli interessati per difendersi.
Caos in Parlamento: salta l’informativa sul caso Almasri
In entrambe le Camere le opposizioni hanno protestato arrivando ad abbandonare l'Aula quando è stato chiaro che la prevista informativa dei Ministri Carlo Nordio e Matteo Piantedosi, sarebbe saltata dopo la notizia della loro iscrizione nel registro degli indagati a Roma, insieme con la premier Giorgia Meloni e il sottosegretario Alfredo Mantovano. Dal centrosinistra la replica è dura: non si può andare avanti con la normale attività parlamentare mentre il Governo non fa chiarezza sul rilascio e il rimpatrio del criminale libico. Così viene immediatamente convocata la conferenza dei capigruppo a Palazzo Madama, mentre poco dopo si tiene (ma era già in programma) anche a Montecitorio. Risultato: lavori fermi fino alla settimana prossima, quando entrambe le capigruppo sono di nuovo convocate.
Il clima di tensione fa saltare anche la riunione del Parlamento in seduta comune che avrebbe dovuto votare per l'elezione dei quattro giudici mancanti della Corte Costituzionale, cui più volte il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha richiamato le Camere. Al Quirinale però, come di consueto in questi casi, regna l'assoluto riserbo anche se c’è preoccupazione.
Le opposizioni unite in Senato ribadiscono la richiesta di un'informativa in Aula della premier sul caso Almasri. Non basta, dicono i capigruppo del centrosinistra non nascondendo il disappunto per il mancato intervento quantomeno di Nordio e Piantedosi, l'offerta di spiegazioni del ministro per i Rapporti con il Parlamento Luca Ciriani. “C'è stata una disponibilità del Ministro Ciriani di venire a dirci nulla, probabilmente, anche oggi, ma è del tutto evidente che non è sufficiente la presenza del Ministro dei Rapporti con il Parlamento” sul caso Almasri, dice il capogruppo M5S a Palazzo Madama Stefano Patuanelli. Che attacca: “Il Governo dice da una parte che per rispetto del lavoro della Magistratura non possono venire Nordio e Piantedosi, mentre dall'altra c'è una presidente del Consiglio che attacca la Magistratura nel video di ieri. Non è chiaro come il ministro Ciriani potesse venire a dire cose che non possono dire Nordio e Piantedosi”. Anche la segretaria dem Elly Schlein interviene con durezza: “Quello che è accaduto è vergognoso. Giorgia Meloni pensa di cavarsela con un video sui social in stile Salvini” ma deve “dire la verità al Paese su quello che è accaduto. Perché è evidente che mentono quando negano che è stata una scelta politica liberare e riportare con il rimpatrio più veloce della storia d'Italia questo torturatore libico a casa nel suo Paese”.
La premier chiede alla maggioranza unità
Giorgia Meloni presiede un vertice a Palazzo Chigi: sul tavolo l'allarmante impennata di sbarchi dalla Libia. Quindi decide di affidare a un unico avvocato la difesa sua, di Alfredo Mantovano e dei ministri Carlo Nordio e Matteo Piantedosi sul caso Almasri: Giulia Bongiorno, la senatrice della Lega che ha già smontato una volta un'accusa mossa dal procuratore Francesco Lo Voi ottenendo l'assoluzione di Matteo Salvini al processo Open Arms. Politicamente l'ordine è “non parlare” della vicenda. Meloni nelle ultime trentasei ore si è confrontata sullo scenario a più riprese con i suoi fedelissimi e anche con Antonio Tajani e Matteo Salvini; chi ne ha raccolto gli sfoghi racconta le riflessioni di una premier che non si sente insidiata dalle opposizioni, quanto più che altro da elementi di logoramento esterno, insidie davanti alle quali il centrodestra non può disunirsi. Altrimenti, è l'avvertimento, rimarrebbe solamente il ritorno al voto. E a prescindere da tutto, sarebbe un'altra delle osservazioni registrate, va fatta una valutazione sulla gestione della vicenda Almasri.
Intanto si sta studiando la strategia difensiva: Bongiorno a Palazzo Chigi ha ricevuto l'incarico a rappresentare la premier, il sottosegretario e i Ministri nel procedimento davanti al Tribunale dei ministri di Roma, dove sono “persone indagate” come da “comunicazione d’iscrizione nel registro delle notizie di reato” da parte del procuratore capo della Capitale Lo Voi dopo la denuncia dell'avvocato Luigi Li Gotti. L’atto dal Governo non è considerato affatto dovuto, nella convinzione che il caso sia “più grottesco che preoccupante”: resta il fastidio di doversi occupare di una storia che è finita sui giornali di mezzo mondo ma è destinata a chiudersi velocemente con un'archiviazione, è il ragionamento. Altrimenti servirebbe comunque l'autorizzazione a procedere del Parlamento. Fra i meloniani c'è anche la convinzione che l'indagine sul caso Almasri si rivelerà alla fine “politicamente un regalo”, perché da un lato compatterà la maggioranza, dall'altro metterà in imbarazzo opposizioni e magistratura, con un impatto positivo nei consensi.
Scontro tra Meloni e la magistratura sul caso Almasri
La presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, denuncia un’ingerenza della magistratura nelle scelte politiche del governo. Intervenendo in collegamento all’evento "La Ripartenza" di Nicola Porro, Meloni ha espresso il suo dissenso rispetto all’indagine aperta dalla procura di Roma dopo la denuncia dell’avvocato Luigi Li Gotti, sostenendo che alcuni giudici vogliano decidere sulla politica industriale, ambientale, migratoria e sulle riforme della giustizia, spingendosi oltre il loro ruolo costituzionale. "Se alcuni giudici vogliono governare, si candidino alle elezioni", ha dichiarato, lamentando l’asimmetria tra il potere politico, sottoposto al giudizio popolare, e quello giudiziario, che, a suo dire, resterebbe privo di contrappesi. La premier ha definito l’azione della procura "un atto voluto", sottolineando la discrezionalità con cui si scelgono le indagini e ricordando le denunce rimaste senza seguito negli anni passati. Meloni ha poi ribadito la propria determinazione: "Agli italiani dico che non mollo di un centimetro", rivendicando il lavoro svolto dal governo per accrescere la credibilità internazionale del Paese, evidenziata – secondo la premier – dai recenti investimenti esteri e dagli accordi internazionali stretti in diversi settori, dall’industria all’energia.
Sul fronte opposto, la segretaria del Partito Democratico, Elly Schlein, ha accusato Meloni di voler spostare il dibattito per "delegittimare la magistratura" e distogliere l’attenzione dai problemi economici del Paese, dalla crescita stagnante al calo della produzione industriale e ai rincari che gravano su famiglie e imprese. "La destra usa la macchina del fango per colpire singole persone, mentre l’economia è ferma", ha dichiarato Schlein, criticando il governo per la sua presunta inerzia su temi centrali come salari e liste d’attesa nella sanità. Il duello tra governo e magistratura si fa sempre più acceso, con il rischio di un'escalation istituzionale dalle conseguenze imprevedibili.
A insistere sulla necessità di un passo indietro è l'opposizione, rilanciando anche le anticipazioni diffuse da Report che nella puntata di domenica, scrive su Facebook il conduttore Sigfrido Ranucci, parlerà “dell'uomo a cui la Santanchè ha venduto Visibilia. Si tratta di Altair D'Arcangelo, indagato per associazione a delinquere, evasione fiscale, frode, riciclaggio e autoriciclaggio. Nel 2023 gli sono stati sequestrati 40 milioni di euro. È l'immancabile uomo che gestisce gli affari della Wip Finance, misteriosa società anonima svizzera”.
Santanchè ribadisce: me ne vado se me lo chiede Meloni
Il caso Santanchè ancora non trova una soluzione. Diversi quotidiani pubblicano un colloquio in cui la Ministra del Turismo sostiene di essere decisa a non lasciare il suo incarico al Governo (“l'impatto sul mio lavoro lo valuto io”), consegna giudizi aspri su Fratelli d'Italia (“FdI non mi difende? Chissefrega”) e sostiene di essere sostenuta dal presidente del Senato Ignazio La Russa, parole che poco dopo la diretta interessata vuole ridimensionare, soprattutto nella parte che riguarda Giorgia Meloni: “Se è lei a chiedermi di lasciare sarò conseguente. I giornali possono scrivere quello che vogliono, anche quelli che non c'erano quando parlavo, ma non scrivere quello che non ho detto”. A seguito della precisazione, giunta dopo aver fatto infuriare il partito e irritato Palazzo Chigi e Palazzo Madama, arriva l'audio che i quotidiani pubblicano sui loro siti.
E la polemica non si placa. Certo, l'avviso di garanzia alla premier ha l'effetto di spostare le polemiche, ma la situazione della Ministra non cambia. La data cerchiata in rosso continua ad essere quella di oggi quando la Cassazione dovrà decidere sulla competenza territoriale del filone d’indagine sul caso Visibilia che vede accusata la Ministra del Turismo di truffa aggravata ai danni dell'Inps sulla cassa integrazione nel periodo del Covid. I giudici stabiliranno se il procedimento deve proseguire davanti al Tribunale di Milano o se gli atti dovranno essere trasmessi a Roma; in questo ultimo caso, il procedimento tornerà indietro alla fase precedente alla chiusura dell'indagine. Ma anche se fosse spostato a Roma, è il ragionamento che si fa dentro FdI, il caso per Santanchè non sarebbe chiuso. Nel partito sulla titolare del Turismo è sceso il gelo e per il momento non sono in programma incontri con Meloni. A chiedere a gran voce che la Ministra faccia un passo indietro è intanto l'opposizione.
La Cassazione decide sul processo alla Ministra Santanchè
Il futuro di Daniela Santanché al governo si deciderà tra Milano e Roma e dipenderà, a breve, dalla Corte di cassazione, se l'inchiesta per truffa aggravata all'Inps a carico della ministra del Turismo resterà ai giudici lombardi o passerà alla Procura romana. Nel primo caso, il processo andrebbe avanti con il rischio di un rinvio a giudizio e accelerando forse l'addio di Santanché al governo, nel secondo, si tornerebbe alla fase precedente alla chiusura dell'indagine, rallentando i tempi di un processo. Cruciale, dunque, la decisione della Cassazione sulla competenza territoriale dell'inchiesta sulle società del gruppo Visibilia. La Ministra sta per chiudere la missione a Gedda, per l'inaugurazione del Villaggio Italia e in mattinata ripartirà per l'Italia.
Su di lei, pesa anche l'ombra delle dimissioni. Da un lato il pressing delle opposizioni, dall'altro la volontà dell'esponente di FdI a non mollare, a meno che Giorgia Meloni non solleciti un passo indietro. “Se il mio presidente del Consiglio mi chiedesse di dimettermi, non avrei dubbi”, ha chiarito. Santanché è imputata di truffa aggravata insieme ad altre persone: secondo l'accusa, sarebbero stati chiesti e ottenuti i contributi della cassa integrazione Covid a zero ore per 13 dipendenti del gruppo Visibiliatenuti nel frattempo al lavoro in smartworking. Il danno all'Inps sarebbe di oltre 126 mila euro; in aggiunta, c'è il rinvio a giudizio per falso in bilancio. Sull'iter del processo, alla richiesta della procura di Milano di continuare in quella sede si contrappone la difesa della Ministra: l'avvocato Nicolò Pelanda ha ribadito che un processo a Roma è più adatto perché il server dell'Inps è nella Capitale e perché il primo pagamento a un dipendente Visibilia, per la cassa integrazione, è su un conto bancario romano.
M5S e Iv aprono a lodo Franceschini. La Schlein, però, punta sui temi
Ritorno al proporzionale e accordi nei collegi maggioritari, oppure un'alleanza larga, stile Ulivo. Per Elly Schlein l'unica strada per creare un'alternativa di governo rimane quella della collaborazione delle opposizioni sui temi, parole attese soprattutto alla luce del dibattito che si è innescato nel Pd e in parte delle opposizioni dopo l’intervento di Dario Franceschini: l'ex ministro ed ex segretario dem suggerisce di accantonare la questione della costruzione del campo largo o progressista, che dir si voglia, per correre separati alle prossime elezioni politiche, concentrandosi ognuno sulla parte proporzionale della sfida e cercando accordi solo su quella maggioritaria. Questa sorta di patto di desistenza avrebbe il doppio vantaggio di evitare i veti incrociati all'interno del perimetro delle opposizioni, da un lato, e riconquistare il voto moderato che non si sentirebbe 'costretto' a votare i partiti di sinistra-sinistra o il M5S.
La proposta non ha convinto buona parte del Pd e ha sollevato forti dubbi nello stesso vertice. A poche ore di distanza dall'intervista di Franceschini, Schlein aveva liquidato la faccenda e la posizione non convince nemmeno Romano Prodi secondo cui “si può governare quando si armonizzano i programmi, si fanno esaminare da esperti, si discutono con le persone e si va di fronte all'elettorato con una linea comune”. Il M5S ha risposto con un “valutiamo” alla proposta di Franceschini; da Campo Marzio si fa sapere che l'idea è compatibile con le aspirazioni della comunità Cinque Stelle così come uscite da Nova, l'assemblea costituente del Movimento, ovvero, no ad alleanze strutturali, ma si decide volta per volta in base al passaggio elettorale che ci si trova di fronte; dunque, un confronto su questo è possibile. A prendere sul serio l'idea di Dario Franceschini è Matteo Renzi. Intanto, però, la maggioranza fa quadrato sulla legge elettorale.
Conte apre a lodo Franceschini e alla revisione della legge elettorale
Il lodo Franceschini, lanciato la settimana scorsa dal deputato ed ex ministro dem, non dispiace al leader M5S Giuseppe Conte, che apre a questa ipotesi e non nasconde che sarebbe in sintonia con il nuovo corso del Movimento. “Ho letto anch'io l'intervista di Franceschini e anche i contributi successivi, da ultimo anche di Bettini. È una prospettiva su cui discutere, perché il nostro obiettivo prioritario, della nostra intera comunità, è lavorare per un'alternativa a questo Governo”, dice, ma “nello stesso tempo dobbiamo anche prendere atto, ed è una realtà, che nell'area progressista ci sono forze di varie sensibilità. Quindi la prospettiva di Franceschini è quella di lavorare in modo realistico, rispettando anche le diversità, per poi colpire uniti”.
“Sulle modalità con cui procedere ci lavoreremo. È compatibile e pienamente in linea con la sensibilità della mia comunità che si è autodefinita progressista indipendente. È un percorso che ci consentirebbe di coltivare anche le nostre posizioni più singolari, più specifiche, di non lasciarci assorbire in un processo che snaturerebbe alcune nostre posizioni”. Conte parla con i giornalisti in Transatlantico alla Camera; poco prima si è tenuta una conferenza unitaria delle opposizioni sul caso Almasri, a cui partecipano altri leader del centrosinistra Elly Schlein, Nicola Fratoianni, Angelo Bonelli, Riccardo Magi, ma non lui, circostanza poco apprezzata dai potenziali alleati che poco dopo lo guardano conversare con i cronisti e certamente non per avallare un'idea di unità della coalizione.
Non solo, l'ex premier parla anche di legge elettorale. Spiega che con un ritorno al proporzionale “rispetto a un progetto di premierato ci sarebbe già un arretramento da parte della premier Meloni e delle forze di maggioranza. L'arretramento credo che sia lodevole, visto che questa riforma è stata fortemente criticata”, ma “se il discorso è: visto che la strada della riforma costituzionale è impervia, realizziamo gli stessi risultati attraverso una legge elettorale, noi non ci stiamo. Se vogliamo parlare seriamente, la legge elettorale non deve avvantaggiare nessuno. Sicuramente, se si vuole lavorare sul proporzionale con soglie di sbarramento e anche restituire ai cittadini la possibilità di poter scegliere, al di là dei listini bloccati, noi ci siamo come M5S”. Insomma, Conte mette sul tavolo la sua visione. Ma i tempi per aprire un cantiere nel centrosinistra sembrano lunghi, così come le distanze tra le diverse posizioni.
Scontro sulle Soprintendenze, bocciata la proposta della Lega
Si inasprisce il confronto tra ministero della Cultura e Lega sul decreto legge Cultura, con il dicastero guidato da Alessandro Giuli che si avvia a esprimere parere negativo sull’emendamento presentato dal deputato Gianangelo Bof. La proposta del Carroccio mira a ridimensionare il ruolo delle Soprintendenze, rendendo non più vincolante il loro parere sulle pratiche urbanistiche ed edilizie che non riguardino grandi monumenti o opere storiche di rilievo, lasciando ai Comuni l’ultima parola sulle decisioni in materia. Un intervento che la Lega considera fondamentale per semplificare la burocrazia e accelerare i processi autorizzativi, ma che secondo il ministero e le opposizioni rischia di indebolire la tutela del patrimonio culturale e di aprire la strada a una gestione frammentata e poco controllata del territorio.
La tensione tra i due fronti si riflette anche sul piano parlamentare, con la commissione Cultura della Camera che ha dovuto sospendere la discussione del decreto e rinviare i lavori per la mancanza di alcuni pareri ministeriali sugli emendamenti. Tuttavia, per le opposizioni il rinvio sarebbe la conferma di una spaccatura interna alla maggioranza, incapace di trovare una sintesi su un tema delicato come la protezione del patrimonio storico-artistico. Pd, M5S, Avs e Azione attaccano il provvedimento leghista, definendolo "una norma profondamente sbagliata", che trasformerebbe la tutela in un sistema "a macchia di leopardo", con differenze significative nella protezione dei beni culturali a seconda delle scelte di ogni amministrazione locale. Secondo la senatrice Cecilia D’Elia (Pd), l’emendamento rappresenta un "grave tentativo di smantellare il sistema di salvaguardia dei beni culturali", mentre accusa Matteo Salvini di aver esaltato il provvedimento sui social con una retorica semplificatoria: "Il ministro delle Infrastrutture faccia il suo lavoro e si occupi dei ritardi dei treni, invece di continuare a interferire in altri ambiti", incalza la senatrice dem, insinuando che Salvini voglia quasi commissariare Giuli in una partita tutta politica.
La Lega, tuttavia, non arretra e anzi rilancia la battaglia, annunciando che oltre a confermare l’emendamento al decreto, presenterà una proposta di legge specifica per riformare il sistema delle autorizzazioni paesaggistiche. "Su richiesta di migliaia di cittadini, imprenditori e associazioni, la Lega intende proseguire la battaglia per sburocratizzare", fanno sapere fonti del partito, sostenendo che l’eccessiva rigidità delle Soprintendenze stia frenando lo sviluppo e ostacolando la realizzazione di interventi urbanistici fondamentali.
Il Movimento 5 Stelle, dal canto suo, coglie l’occasione per accentuare le tensioni tra gli alleati di governo, sottolineando come la bocciatura dell’emendamento da parte del ministero della Cultura dimostri un chiaro scontro all’interno della maggioranza: "La frattura è ormai clamorosa: se davvero Giuli si opporrà fino in fondo all’assalto leghista al patrimonio culturale, lo sosterremo senza esitazioni", dichiarano gli esponenti pentastellati in commissione Cultura. Per il M5S, la tutela della storia e dell’identità italiana non può essere oggetto di trattative politiche o operazioni di semplificazione forzata.
Il dibattito sulle Soprintendenze si inserisce in un quadro più ampio di crescenti tensioni nel centrodestra, dove la Lega continua a spingere su alcuni temi identitari, mettendo alla prova la tenuta della coalizione. Il ministero della Cultura, espressione del governo guidato da Giorgia Meloni, ha finora tenuto una linea prudente, ma il parere negativo sull’emendamento leghista evidenzia una divergenza sempre più marcata su temi cruciali. Resta ora da capire se il Carroccio insisterà fino in fondo con la propria proposta, rischiando un ulteriore strappo con Fratelli d’Italia, o se alla fine prevarrà una mediazione interna.
I sondaggi della settimana
Negli ultimi sondaggi realizzati dall’Istituto SWG il 27 gennaio, tra i partiti del centrodestra cresce dello 0,2% Fratelli d’Italia e arriva al 29,7%. In seconda battuta il PD con il 22,8%. Terza forza nazionale il Movimento 5 Stelle perde 0,2 punti. Perdono punti Forza Italia (9,1%) e non (8,5%), entrambi di 0,1 punto. Nonostante ciò, entrambi i partiti continuano a garantire un ottimo appoggio alla maggioranza. Nella galassia delle opposizioni, AVS guadagna 0,1 punti percentuali, mentre i centristi sono rilevati singolarmente con Azione (3,2%), IV (2,8%) e +Eu (202%). Chiudono il quadro settimanale le rilevazioni con Noi Moderati in salita all’1,3%.
La stima di voto per la coalizione di centrodestra (FdI, Lega, FI e NM), aumenta, attestandosi al 48,5% rispetto al 47,2% della settimana scorsa. Il centrosinistra (Pd, All. Verdi Sinistra) registra il 28,8% delle preferenze aumentando di 0,5 punti; fuori da ogni alleanza, il M5S diminuisce al 11,4%. A chiudere il Centro, perde punti arrivando all’8%.
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