Von der Leyen conferma la vicinanza con l’Italia sul Recovery Fund
La presidente della Commissione Europea Ursula Von der Leyen, intervistata da NewsMediaset, ha toccato vari temi legati all'emergenza economica dell'Europa. A proposito dello stato dell'Unione Europea e di un messaggio da mandare al premier italiano Giuseppe Conte, ribadisce: “Sono davvero contenta che il primo ministro Conte ed io, il prossimo anno, durante la presidenza italiana del G20, organizzeremo nel vostro Paese un vertice globale sulla sanità, in modo da condividere la lezione imparata e guardare avanti, migliorare ad affrontare la pandemia. Davvero grazie all'Italia per ospitare e organizzare questo summit”. Sul Recovery Fund e su cosa Bruxelles si aspetta dall'Italia, Von der Leyen ha dichiarato: “Siamo in stretto contatto con l'Italia su tutto quello che riguarda il Recovery Plan e siamo allineati, sappiamo che bisogna sostenere e potenziare le piccole e medie imprese ma nel rispetto del green deal europeo e della digitalizzazione. Queste sono le nostre priorità e anche del Governo italiano, quindi lavoriamo duro per progredire”.
Su una riforma del Patto di Dublino in merito all'immigrazione, ha poi affermato: “È giunta l'ora di trovare una soluzione comune sull'immigrazione. Dobbiamo gestire questo fenomeno. Dobbiamo mostrare la solidarietà europea ma in modo concreto ed evidente. Per troppo tempo non c'è stata unione sull'immigrazione, ora credo che, dopo la buona esperienza del Recovery Fund dove si è vista vicinanza tra Paesi nel gestire la pandemia, è tempo di mostrare la stessa solidarietà e unità sul tema dell'immigrazione”. Infine, riguardo a cosa aspettarci da questo autunno con la pandemia ancora in corso, ha concluso: “Dobbiamo avere forza e fiducia. È un momento difficile, c'è tanta fragilità ma io so che nell'Unione Europea c'è anche tanta vitalità che ci deve portare avanti. Ora abbiamo questi imponenti investimenti del Next generation Eu, un fantastico segno di unità e solidarietà dell'Unione europea. Noi sappiamo che quando l'economia tornerà a crescere le nostre imprese dovranno essere vive e pronte per la ripresa ed è quello su cui stiamo lavorando”.
Conte rilancia il ruolo del Parlamento sul Recovery plan
L'invio delle linee guida del Recovery plan alle Camere, a pochi giorni dal voto, è un ulteriore segnale che Giuseppe Conte punta tutto sul piano di riforme per rilanciare il Paese con il supporto della Ue. Il premier non ha in programma appuntamenti da campagna elettorale riguardante le Regionali, si tiene fuori dalla contesa, dal dibattito sulle possibili ricadute delle urne sull'esecutivo e dalla querelle su un eventuale rimpasto. È dunque concentrato su quella che considera “un'occasione storica”, ha dato la sua disponibilità a riferire a Montecitorio e a palazzo Madama, mentre le forze parlamentari, soprattutto di maggioranza, chiedono di avere voce in capitolo sui progetti. L'apertura del presidente del Consiglio sarebbe nel merito e nel metodo: le linee guida non sono modificabili, ma i Gruppi si pronunceranno con delle risoluzioni, dando suggerimenti e direttive. Ci sono margini d'azione, quindi, per il Parlamento, anche perché il Recovery plan non sarà agganciato alla Nadef. I tempi saranno più lunghi; fino a metà ottobre, quando entrerà nel vivo l'interlocuzione con la Ue, ci sarà spazio per un dibattito. Ma le incognite sono tante, legate soprattutto a quello che succederà il 21 settembre.
Sul Recovery plan, il Governo punta a evitare la frammentazione dei progetti
Nei criteri di valutazione dei progetti ammissibili al finanziamento europeo tramite Recovery fund dettagliati nelle linee guida del Piano nazionale di ripresa e resilienza si legge chiaramente che “il processo di selezione delineato intende evitare una frammentazione del Piano in progetti isolati e non coerenti fra di loro, non collocati all'interno di strategie intersettoriali e che non sfruttino le economie di scala e di scopo, necessarie per un impatto significativo sugli obiettivi prefissati nel piano stesso. Inoltre si vuole evitare l'introduzione di progetti non in linea con gli obiettivi generali o difficili da valutare e monitorare, che potrebbero non ottenere l'approvazione in sede europea. È altresì necessario non disperdere risorse su progetti che presentino un rilevante rischio di mancato raggiungimento dei milestones. Sono ancor più da scartare progetti che abbiano già incontrato significativi problemi progettuali o di attuazione”. Le linee guida trasmesse al Parlamento comprendono le slides già diffuse la scorsa settimana e il documento di 38 pagine approvati dal Comitato Interministeriale per gli Affari europei; saranno seguite, come indicato dal Ministro dell'Economia Roberto Gualtieri, da un Piano più dettagliato per accedere ai fondi previsti dal Recovery Fund che sarà pronto il 15 ottobre, preceduto dalla Nadef che incorporerà gli impatti degli interventi.
Il documento è diviso in cinque sezioni ed elenca le sei sfide e le missioni per l'Italia: digitalizzazione; innovazione e competitività del sistema produttivo; rivoluzione verde e transizione ecologica; infrastrutture per la mobilità; istruzione, formazione, ricerca e cultura; equità sociale, di genere e territoriale; salute. Le missioni del programma sono a loro volta suddivise in cluster (o insiemi) di progetti omogenei atti a realizzarle e, di conseguenza, vincere le sfide; i singoli progetti di investimento saranno raggruppati nei cluster. Poi ci sono le riforme che saranno collegate a uno o più cluster d’intervento: Pubblica amministrazione, Ricerca, Fisco, Giustizia e Lavoro. Il documento riporta anche i criteri di selezione dei progetti in base ai regolamenti europei. Infine sono riassunte le risorse disponibili per l'Italia a valere sul Next Generation EU: con la Recovery and Resilience Facility 191,4 miliardi, di cui 63,8 di sovvenzioni e 127,6 di prestiti; con ReactEU 15,2 miliardi; con Horizon Europa 500 milioni; con Sviluppo rurale 800 milioni; con il Fondo per la transizione giusta 500 milioni; con RescEU 200 milioni, per un totale di 208,6 miliardi.
Sale la tensione nella maggioranza per l’appuntamento elettorale
I giallorossi da giorni ripetono che l'esecutivo è al riparo dall'appuntamento di domenica e lunedì. Del resto anche Matteo Salvini, Silvio Berlusconi e Giorgia Meloni, pur ritenendo le Regionali un vero banco di prova, non alzano per ora l'asticella. Il quadro politico sarà valutato soprattutto sulla base dell'esito delle elezioni in Puglia e in Toscana, anche se il Pd, nella veste di forza responsabile che ha dato il via al Conte 2, per ora allontana ipotesi di rimpasto, al pari di Matteo Renzi. Sotto traccia se ne parla da tempo, chi tra i pentastellati teme una debacle ricorda le parole pronunciate da Zingaretti: in caso di un insuccesso la responsabilità cadrebbe sulle spalle di Iv e soprattutto del Movimento 5 Stelle alle prese con una fibrillazione interna e con Grillo che con il suo ultimo intervento ha di fatto stoppato le manovre anti-Casaleggio.
“Ma se il centrodestra dovesse prevalere in Toscana e in Puglia - osserva un big pentastellato - non si può escludere una crisi di governo e con un rimpasto potremmo perdere anche alcuni ministri". Timori, scenari che vengono respinti dai leader della maggioranza che punta a blindare il premier e il percorso del Recovery plan che in teoria procederà fino alla partita della successione al presidente della Repubblica, Mattarella, con Mario Draghi nelle vesti di favorito. Intanto la Lega ha piazzato in Senato il primo tentativo di mettere in difficoltà il Governo: già martedì chiederà la calendarizzazione della mozione di sfiducia al ministro Lucia Azzolina, anche se le altre forze della coalizione per il momento sono piuttosto fredde sull'iniziativa che rischia di compattare la maggioranza all’indomani del voto. Il nodo maggiore da sciogliere dopo le Regionali sarà quello del Mes: difficile che nelle risoluzioni della maggioranza sul Recovery plan ci sarà un riferimento al fondo Salva-Stati ma la partita resta aperta e il summit annunciato dalla presidente Von der Leyen sulla sanità potrebbe fare da apripista a un sì del Governo.
Referendum, da Giorgetti a Gori, i partiti fanno i conti con i voti ribelli
Manca davvero una manciata di giorni al referendum sul taglio dei parlamentari, primo, vero test nazionale per la politica nell'era Covid, ma nelle Segreterie si fa già la conta di quelli che nel segreto dell'urna non rispetteranno la linea, i cosiddetti “voti ribelli”. I casi più clamorosi, che hanno fatto rumore per intenderci, riguardano la Lega, in particolare due pezzi da novanta in via Bellerio: Giancarlo Giorgetti e Attilio Fontana, che hanno detto di votare no, nonostante il leader Matteo Salvini si sia schierato apertamente per il Sì. Anche il Pd ha i suoi bei grattacapi sul referendum: la Direzione nazionale ha votato a larga maggioranza la relazione del segretario, che include il voto favorevole al taglio degli eletti, ma una buona fetta di parlamentari hanno già annunciato che non seguiranno l'indicazione nazionale. Matteo Orfini, ad esempio, ma anche molti della sua area, a partire dalla deputata Chiara Gribaudo, che ha deciso di aderire al comitato Democratici per il No, di cui fa parte a pieno titolo il senatore Tommaso Nannicini, uno dei promotori della consultazione. Ma i parlamentari Pd contrari alla riforma voluta dai Cinque Stelle sono molti, tra cui spiccano Franco Mirabelli e Luigi Zanda, e sulla stessa linea ci sono anche diversi amministratori locali, come il sindaco di Bergamo Giorgio Gori. Per non parlare poi dei padri nobili del partito, Romano Prodi, ma soprattutto Walter Veltroni. Tra i no c'è pure quello di Gianni Pittella, finito al centro di una polemica per gli attacchi subiti via web dal mondo della comunicazione Cinque Stelle, che ha usato la sua immagine per una campagna a favore del Sì con slogan decisamente sopra le righe: "La Prima Repubblica non si scolla mai. Incollato alla poltrona con tutta la famiglia dal 1979”: Parole non proprio adatte a un alleato di governo. Ma nemmeno il Movimento è immune ai ribelli. Sebbene di default sia a favore del Sì, qualcuno che boccia pubblicamente il taglio dei parlamentari c'è, ad esempio il deputato Andrea Colletti, ma anche il collega Marco Rizzone.
Le Camere si fermano in vista dell’election day
Nella giornata di oggi e per tutta il resto della settimana la Camera e Senato interromperanno i propri lavori in vista del primo, grande appuntamento elettorale post Covid-19. Come definito dal decreto elezioni il 20 e 21 settembre si terranno infatti le elezioni regionali, amministrative, suppletive e il referendum costituzionale per la riduzione del numero dei parlamentari. Le regioni che si recheranno alle urne sono sette: Campania, Liguria, Marche, Puglia, Toscana, Valle d'Aosta e Veneto. I capoluoghi di provincia saranno quindici: Andria, Arezzo, Aosta, Bolzano, Chieti, Crotone, Fermo, Lecco, Macerata, Mantova, Matera, Reggio Calabria, Trani, Trento e Venezia. Le elezioni suppletive interessano invece due collegi del Senato: il numero 3 della Sardegna e il 9 del Veneto, rimasti vacanti a seguito dei decessi della senatrice Vittoria Bogo Deledda del M5S e del senatore Stefano Bertacco di FdI.