Zingaretti sprona gli alleati e rimanda l’eventuale rimpasto di Governo
Nicola Zingaretti è convinto che non si possa continuare come si è fatto nel primo anno dell’alleanza tra Pd e M5S: il leader del Partito Democratico vuole far pesare i nuovi rapporti di forza usciti dalle urne, ma intende farlo restando al suo posto alla guida del Pd perché, assicurano, non ha nessuna intenzione di entrare al Governo come vice-premier perché sa bene che il voto ha sì reso il Governo più forte ma ha anche fatto esplodere definitivamente lo scontro dentro il M5S e nessuno è in grado di prevedere quale sarà l'esito di questa sfida nel Movimento. Per questo Zingaretti insiste: “Mi permetto di dire che ora è tempo per tutta l'alleanza di un colpo d'ala, un grande progetto per la rinascita che ridia speranza a chi rischiava di perderla”. Ci vuole una strategia e un'idea di Paese condivisa, è il senso del ragionamento, non si può continuare a governare approvando un giorno una proposta del Pd e il giorno dopo una proposta M5S, senza un disegno comune, solo per permettere a ciascuno di piantare la propria bandierina. Per questo anche il vice-segretario Andrea Orlando spiega che non è il momento di parlare di rimpasti o di fare entrare Zingaretti al governo come vice-premier; su Zingaretti vice-premier Conte ha più volte dato il proprio ok, ma il numero due Pd frena: “È l'ultimo dei problemi. Questa è una valutazione che viene dopo, ora c'è da discutere qual è l'agenda”.
Del resto, lo stesso Giuseppe Conte è convinto che l'idea di un rimpasto debba essere rimandata: in questo momento, alla luce della crisi dei Cinque stelle, apportare delle modifiche alla squadra potrebbe destabilizzare tutto l'esecutivo e, con la manovra economica e il Recovery plan da scrivere e la “mina vagante” del Mes, non è opportuno creare ulteriori problemi, soprattutto pensando ai numeri (scarsi) del Senato. Per questo l'idea è di superare la fine dell'anno senza cambiamenti, vedere l'evoluzione del Movimento, e poi, da gennaio, se le acque saranno più calme, eventualmente intervenire. La tenuta dei 5 stelle preoccupa in realtà anche il Pd: nessuno può scommettere ora su quello che accadrà, il Movimento da questo punto di vista è imprevedibile e già in queste ore si vede la tentazione di “tornare alle origini”, come dice lo stesso Beppe Grillo che preferire i referendum al Parlamento. Per questo il Pd adesso intende piantare dei paletti ben precisi: la proposta di Luigi Di Maio di procedere ora con il taglio degli stipendi dei parlamentari è stata già respinta e di sicuro il Pd non intende assecondare altri strappi, dopo aver fatto la propria parte sul taglio dei parlamentari; anche il reddito di cittadinanza “va ripensato”, dice Andrea Orlando dalla Grubrer, e i decreti sicurezza vanno approvati subito, insiste Zingaretti. Perché il Movimento ora, secondo i vertici democratici, deve scegliere cosa fare da grande.
Dopo le Regionali nel centro destra e nella Lega si apre il processo a Salvini
Aveva annunciato una telefonata con Silvio Berlusconi e Giorgia Meloni di cui, fino a sera, non v'era traccia. “Lo dice sempre, ma non chiama mai”, scherza un esponente di Fratelli d'Italia: una battuta, certo, ma neanche troppo. Da tempo gli alleati criticano Matteo Salvini per la sua tendenza a “ballare da solo”, ma quella che fino all'altro ieri era una polemica sotto traccia, con il risultato delle Regionali e la mancata spallata in Toscana che fa il paio con l'Emilia-Romagna si è trasformata in un’aperta messa in discussione della capacità di Salvini di essere leader di tutto il centrodestra. Ad aprire le danze è stato il neo rieletto governatore ligure Giovanni Toti, che ha ribadito il suo pensiero: “Questa coalizione ha bisogno di essere ridisegnata, di uscire dallo schema della seconda Repubblica, dei soliti partiti e delle solite liturgie. Questa coalizione ha bisogno di un leader che superi il suo ruolo di leader di partito, per diventare leader di tutti e candidato premier di tutti”. La sua idea sarebbe quella di una federazione e per questo, a suo giudizio, Salvini dovrebbe lanciare “una vera costituente del nuovo centrodestra, una federazione nuova di forze, che raccolga tutte le energie migliori nate in questi anni”.
Anche Giorgia Meloni lancia un messaggio sulla necessità di fare “più gioco di squadra” che sembra proprio destinato al leader del Carroccio. Silvio Berlusconi, invece, continua a tacere e a non pronunciare nemmeno una parola sull'esito delle Regionali, come se il tracollo di Forza Italia fosse qualcosa che non lo riguardasse. Ma tra gli azzurri comincia ad alzare la voce chi ha sempre sostenuto che inseguire la Lega sarebbe stata la morte del partito, come Renato Brunetta: “Matteo Salvini non è e non è mai stato il leader del centrodestra. Ha preso decisioni unilaterali, parlando solo per la Lega. Non ha mai seguito lo stile di Silvio Berlusconi”. L'ex ministro dell'Interno ufficialmente fa buon viso a cattivo gioco e prova a scrollarsi di dosso l'accusa di egoismo politico: “In Veneto avremmo potuto dire andiamo da soli. Ma io ho detto c'è la squadra, a me interessa la squadra, non vince Cristiano Ronaldo Ronaldo vince se ha una squadra intorno e il modello Liguria ne è la dimostrazione”. Non soltanto tra gli alleati ma anche all’interno alla Lega c’è chi comincia a sostenere che la tecnica salviniana della campagna elettorale permanente e le scelte fatte non funziona più; per questo Salvini ha deciso di cambiare la struttura della Lega, avvicinandola a quella di un partito tradizionale: “Io più delego, più son contento”, dice, annunciando l'intenzione di creare una segreteria politica che lo affianchi.
La von der Leyen lancia il patto europeo sui migranti
“Il Patto sulla migrazione è un importante passo verso una politica migratoria davvero europea. Ora il Consiglio Ue coniughi solidarietà e responsabilità. Serve certezza su rimpatri e redistribuzione: i Paesi di arrivo non possono gestire da soli i flussi a nome dell'Europa”. Il premier Giuseppe Conte vede il bicchiere mezzo pieno di fronte al nuovo piano su asilo e migrazione presentato dalla Commissione europea di Ursula von der Leyen, una serie di misure già viste, ma dosate con molto pragmatismo nordico per cercare di andare incontro un po' a tutti i Paesi dell'Ue e trovare un difficile compromesso; è un mix in cui l'Italia trova riconosciuto uno dei suoi cavalli di battaglia, i ricollocamenti dei migranti soccorsi in mare, ma non “quel netto superamento del sistema di Dublino da noi auspicato”, come nota il ministro dell'Interno Luciana Lamorgese. Il patto, che von der Leyen definisce “un giusto equilibrio tra solidarietà e responsabilità”, e che il Ministro dell'Interno tedesco Horst Seehofer indica come “una buona base di discussione” e su cui si metterà subito al lavoro nella veste di presidenza di turno del Consiglio dell'Ue, propone un meccanismo europeo di solidarietà obbligatoria, ma con elementi di flessibilità: i Paesi dell'Unione potranno infatti scegliere di aiutare uno Stato membro sotto pressione, con i ricollocamenti o i rimpatri sponsorizzati, ma secondo quote precise calcolate su Pil e popolazione.
Il sistema, messo a punto tenendo presente il no dei Visegrad, dei Baltici e dell'Austria ai ricollocamenti, prevede che “se entro otto mesi non saranno stati effettuati tutti i rimpatri presi in carico, lo Stato partner che si è impegnato nell'impresa sarà obbligato ad accogliere sul suo territorio quanti restano da allontanare”, ha spiegato la madrina della proposta, la commissaria svedese Ylva Johansson. Tutto ciò dimostra attenzione alle richieste dell'Italia e degli altri Paesi del fronte meridionale, affiancando un sistema di solidarietà automatico con ricollocamenti volontari fino al 70% a un sistema correttivo che scatterà in mancanza delle adesioni necessarie da parte degli Stati partner, le cui capitali saranno obbligate a scegliere di partecipare attraverso i ricollocamenti o i rimpatri sponsorizzati.
Al Senato
Dopo che nella giornata di ieri è stata approvato definitivamente il decreto sulle misure urgenti connesse con la scadenza della dichiarazione di emergenza epidemiologica da COVID-19 deliberata il 31 gennaio 2020, l’Assemblea del Senato tornerà a riunirsi lunedì prossimo per il possibile inizio dell’esame del decreto agosto.
Per quanto riguarda le Commissioni, la Affari Costituzionali esaminerà il ddl per l’istituzione della giornata nazionale delle vittime da COVID-19, la proposta di legge costituzionale relativa alla validità dei referendum per la fusione di Regioni o la creazione di nuove Regioni e per il distacco di Province e Comuni da una Regione e la loro aggregazione ad altra, e discuterà sull’istituzione della Commissione d’inchiesta sulla diffusione di informazioni false. La Giustizia svolgerà diverse audizioni sulle ddl per la tutela degli animali e altre sulla legge di delega al Governo in materia di processo civile; si confronterà infine sul ddl relativo alla Magistratura onoraria. La Bilancio inizierà le votazioni degli emendamenti al decreto agosto; con la Politiche dell’UE esaminerà la proposta di “Linee guida per la definizione del Piano nazionale di ripresa e resilienza”. La Finanze esaminerà il ddl sull’imposta di registro sugli atti giudiziari e svolgerà delle audizioni sul ddl per l'istituzione delle zone franche montane in Sicilia.
Alla Camera
Nella giornata di oggi l’Assemblea della Camera non si riunirà. I lavori sono rinviati a lunedì della settimana prossima. Per quanto riguarda le Commissioni, l’Istruzione esaminerà lo schema di decreto ministeriale per il riparto del Fondo ordinario per gli Enti e le istituzioni di ricerca per l'anno 2020. La Commissione Politiche dell’UE assieme alla Esteri e in sede congiunta con le rispettive del Senato, ascolterà il Capo Negoziatore per l'adesione dell'Albania all'Unione europea Ambasciatore Zef Mazi.