Manovra: lente Bankitalia-Upb su Irpef e rottamazione, Giorgetti difende Ddl
Con la conclusione del ciclo di audizioni parlamentari sulla manovra, gli organismi indipendenti hanno formulato osservazioni puntuali su Irpef e rottamazione, mentre il Ministero dell’Economia ha richiamato alla prudenza nella fase emendativa. La Commissione Bilancio del Senato ha nominato relatori Guido Liris, Dario Damiani, Claudio Borghi e Mario Borghese; l’obiettivo della maggioranza resta il via libera dell’Aula entro il 15 dicembre, con presentazione degli emendamenti fissata al 14 novembre (18 novembre per i segnalati). Il titolare del Mef ha invitato a valutare con attenzione gli effetti finanziari delle modifiche, richiamando non solo i saldi di finanza pubblica ma anche la traiettoria della spesa. Sul taglio dell’aliquota Irpef dal 35 al 33 per cento per i redditi tra 28 e 50 mila euro, Banca d’Italia ha segnalato un beneficio concentrato sui due quinti più alti della distribuzione, con impatto percentualmente contenuto sul reddito disponibile. Il vicecapo del Dipartimento Economia e Statistica di Via Nazionale, Fabrizio Balassone, ha ricordato che la misura favorirebbe le fasce più abbienti. In linea, il presidente dell’Istat Francesco Maria Chelli ha evidenziato che oltre l’85 per cento delle risorse sarebbe destinato ai quinti più ricchi, stimando un guadagno medio da 102 euro per le famiglie del primo quinto a 411 euro per quelle dell’ultimo, con variazioni inferiori all’1 per cento per le restanti classi. L’Ufficio parlamentare di bilancio ha stimato che la riduzione di due punti riguarderà poco più del 30 per cento dei contribuenti, circa 13 milioni sopra i 28 mila euro di reddito, comportando a regime una minore entrata Irpef di circa 2,7 miliardi. Secondo le valutazioni dell’Upb, metà del risparmio si concentrerebbe sui contribuenti oltre i 48 mila euro (l’8 per cento del totale), con effetti medi che differiscono sensibilmente per categoria: 408 euro per i dirigenti, 123 per impiegati e autonomi, 55 per i pensionati e 23 per gli operai. La presidente Lilia Cavallari ha inoltre precisato che l’assetto previsto dal 2026 consentirebbe di più che compensare il drenaggio fiscale per i lavoratori dipendenti tra 10 e 32 mila euro. Sul fronte della rottamazione, la Corte dei conti ha richiamato rischi per la compliance fiscale e un profilo di equità sfavorevole verso i contribuenti in regola, osservando che l’aspettativa di definizioni agevolate ricorrenti può alimentare comportamenti opportunistici e ridurre la riscossione ordinaria.
Preoccupazioni analoghe sono state espresse da Banca d’Italia, che ha ricordato la frequenza di tali interventi negli ultimi anni e i risultati limitati sul gettito. L’Upb ha rilevato come la reiterazione delle definizioni abbia reso più complesso l’assetto della riscossione coattiva, senza affrontarne in modo significativo le inefficienze strutturali.Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha difeso l’impianto del disegno di legge, sostenendo che la riduzione dell’aliquota Irpef sia finalizzata a sostenere il ceto medio e che la valutazione degli effetti sul potere d’acquisto debba considerare anche il taglio del cuneo contributivo adottato dal 2022, che per i redditi più bassi avrebbe ampiamente compensato il fiscal drag fino a 35 mila euro. Ha inoltre affermato che la nuova rottamazione vada letta come una rateazione del debito mirata a preservare la continuità operativa delle imprese in difficoltà, senza effetti negativi sul gettito complessivo ma con una diversa distribuzione temporale degli incassi. Nel quadro procedurale, il presidente della Commissione Bilancio del Senato Nicola Calandrini ha confermato la tempistica di esame, mentre il Mef ha annunciato la piena disponibilità delle strutture tecniche a supportare la verifica degli emendamenti. Resta centrale, nelle indicazioni governative, l’esigenza di coniugare le scelte redistributive con il rispetto dei nuovi parametri europei e con un controllo stringente della dinamica della spesa, al fine di preservare l’equilibrio dei conti pubblici.
Dazi, gli scenari per l'Ue dopo le affermazioni della Corte Suprema USA
L’amministrazione statunitense ha sostenuto, anche per voce dell’avvocato del governo Dean John Sauer, che i dazi risultino necessari in quanto i deficit commerciali accumulati dagli Stati Uniti con numerosi partner costituirebbero un’emergenza economica e un problema di portata globale. Secondo tale impostazione, i Paesi colpiti non avrebbero confutato l’esistenza di un trattamento asimmetrico e sfavorevole nei confronti dell’economia americana. Nel caso europeo, la presidente della Commissione Ursula von der Leyenavrebbe riconosciuto, al momento della firma dell’intesa con Donald Trump, la necessità di un riequilibrio tra il surplus europeo e il deficit statunitense, offrendo così al team statunitense una significativa affermazione politica e consentendo al rappresentante per il Commercio Jamieson Greer di presentare l’intesa come l’avvio di una nuova fase, definita “sistema Turnberry”. Per l’Unione europea, la questione riguarda ora la solidità dell’architettura delineata dall’accordo di Turnberry, successivamente cristallizzato in una dichiarazione congiunta. Fonti comunitarie ritengono che il tetto tariffario del 15 per cento sulla maggior parte delle esportazioni possa essere confermato anche nell’eventualità di un rigetto dei dazi da parte della Corte Suprema degli Stati Uniti, la cui decisione è attesa entro fine anno. La Commissione europea non ha commentato nel merito i procedimenti giudiziari in corso negli Stati Uniti, precisando, tramite il viceportavoce Olof Gill, che l’attenzione resta rivolta all’attuazione degli impegni indicati nella dichiarazione congiunta Ue-Usa.
Resta tuttavia il nodo politico-istituzionale interno all’Unione: la sentenza della Corte potrebbe incidere sulla legge di attuazione dell’intesa tra Bruxelles e Washington, soggetta al vaglio del Parlamento europeo, dove permangono riserve sull’accordo. Numerosi deputati contestano l’impostazione ritenuta unilaterale e penalizzante per l’Ue, in particolare rispetto all’abolizione dei dazi sui prodotti industriali statunitensi. In tale contesto, l’eventuale annullamento dei dazi americani potrebbe rafforzare le posizioni critiche e rendere più probabile un voto contrario alla procedura, come indicato dall’eurodeputato Brando Benifei, secondo cui proseguire nella riduzione dei dazi europei in assenza di misure speculari negli Stati Uniti risulterebbe difficilmente giustificabile.
L’euro digitale entra nella nuova fase: verso la prima emissione nel 2029
La Banca centrale europea ha comunicato la conclusione con esito positivo della fase preparatoria dell’euro digitale, avviata nel novembre 2023, e l’avvio della tappa successiva finalizzata a garantire la prontezza tecnica per una prima emissione. L’iniziativa mira a dotare l’Eurozona di un’infrastruttura pubblica e sicura per i pagamenti elettronici, riducendo la dipendenza da circuiti privati extraeuropei e affiancando, senza sostituirlo, l’uso del contante. In tale quadro, la presidente Christine Lagarde ha ribadito che la moneta comune rappresenta un segno di fiducia e unità e ha indicato l’obiettivo di rendere il denaro in euro adeguato al futuro, modernizzando le banconote e predisponendo il denaro digitale. Il progetto è concepito come valuta digitale di banca centrale, garantita dalla BCE e pienamente equivalente a monete e banconote, distinta dalle criptovalute e dalle stablecoin private. La necessità dell’intervento è stata motivata dal calo dell’uso del contante, che nel 2024 ha rappresentato il 24 per cento delle operazioni quotidiane, e dall’elevata quota di transazioni su reti di pagamento non europee. L’euro digitale intende offrire un mezzo elettronico europeo, sicuro, semplice e accettato in tutti i Paesi dell’area euro, con particolare attenzione alla tutela della privacy e alla possibilità d’uso offline. Il percorso ha avuto inizio il 2 ottobre 2020 con il primo rapporto della BCE. Tra il 2021 e il 2023 si è svolta la fase di indagine, dedicata al disegno e alle caratteristiche dello strumento, seguita dalla fase preparatoria avviata nel novembre 2023 con focus su sviluppo tecnico, modalità offline, privacy e quadro regolamentare. Tra i risultati conseguiti figurano la definizione di un rulebook unico per i prestatori di servizi di pagamento, la selezione tramite gara di cinque fornitori per le componenti chiave della piattaforma e una campagna di sperimentazioni sull’usabilità e sull’accessibilità che ha coinvolto circa settanta operatori tra banche, fintech, esercenti e PSP, inclusi test di operatività offline. La prossima tappa è di natura legislativa. La proposta di regolamento presentata dalla Commissione europea nel 2023 dovrà essere esaminata e approvata da Parlamento europeo e Consiglio entro il 2026. In caso di adozione, l’Eurosistema potrà avviare una fase pilota nel 2027 con l’obiettivo di giungere alla prima emissione nel 2029. Parallelamente, la BCE concentrerà l’attività su preparazione tecnica, coinvolgimento del mercato e supporto al processo normativo. L’investimento fino alla prima emissione è stimato in 1,3 miliardi di euro, mentre i costi operativi annui, a partire dal 2029, sono indicati in circa 320 milioni di euro, a carico della BCE e delle banche centrali nazionali, in analogia con l’attuale produzione delle banconote. Per imprese e consumatori sono previsti pagamenti istantanei, riduzione dei costi e funzionalità offline; restano aperte alcune sfide, tra cui la salvaguardia della privacy, la prevenzione di una potenziale fuoriuscita di depositi dalle banche commerciali e l’inclusione digitale delle fasce di popolazione meno connesse. In tale contesto, il bilanciamento tra innovazione, sicurezza e stabilità finanziaria costituisce la condizione per il completamento del progetto.

