Nel giorno delle Forze Armate Mattarella parla di difesa europea
Rinnovare l'impegno per una difesa europea e adattare le forze armate e i loro strumenti al mondo che cambia. Nella Giornata dell'Unità Nazionale e delle Forze Armate il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella torna a richiamare l'Ue sulla necessità di una politica comune. “Oggi nuovi conflitti si sono affacciati in Europa e nel Mediterraneo”, insiste il Capo dello Stato che poi si concentra su quanto sta avvenendo sul fronte orientale. L'inquilino del Colle fa memoria dell'armistizio del 4 novembre che segnò la fine della Guerra mondiale che aveva insanguinato l'Europa e fu “il coronamento del sogno risorgimentale dell'unità d'Italia”; rinnova la “riconoscenza” per quanto i cittadini in uniforme fecero, “combattendo per fare dell'Italia una Nazione indipendente e libera, ispirata a valori democratici e di pace”; mette in luce il contributo svolto oggi dalle Forze Armate e si appella alle giovani generazioni “affinché siano consapevoli della necessità di impegno a difesa dei valori della nostra Costituzione” dopo che tanti sono stati i caduti per conquistarli e difenderli. Il ministro della Difesa Guido Crosetto, che accompagna Mattarella sia all'Altare della Patria (insieme alla premier Giorgia Meloni e ai presidenti di Senato e Camera Ignazio La Russa e Lorenzo Fontana) sia alla cerimonia di Ancona, condivide. Mentre il Governo prepara l'invio del dodicesimo pacchetto di armi e aiuti a Kiev, Crosetto insiste sulla necessità di intervenire sulla difesa. Di qui l'esigenza di avere “30 mila unità in più. Quindi arrivare a 200mila unità”. In ogni caso, il titolare della Difesa esclude la presenza di soldati italiani a Gaza in questo momento.
Giorgetti chiude le audizioni sulla legge di bilancio
Dopo quelle di sindacati e imprese, di Comuni e Regioni, ciascuno portatore di richieste di modifiche, dallo stralcio dell'aumento della cedolare secca per affitti brevi, alla tassa di scopo per finanziare la sanità, alla richiesta di un maggiore sostegno alle famiglie, le audizioni di istituzioni finanziarie e authority, Istat, Bankitalia, Corte dei conti e Upb passano sotto la lente la manovra, mettendone in luce da un lato il contributo al consolidamento dei conti pubblici, dall’altra avanzando rilievi. Tanto che il ministro Giancarlo Giorgetti difende l’impianto e le misura bandiera, con una premessa di metodo, rivolta tanto alle opposizioni quanto alla maggioranza: la manovra è la “proposta condivisa dal Cdm”, ci sarà una “attenta valutazione” degli emendamenti ma alla luce del rispetto non solo dei saldi di finanza pubblica. La misura simbolo della manovra, il taglio dell'Irpef, assorbe la fetta più grossa dalle previsioni di spesa, ma per la Banca d'Italia non comporta “variazioni significative della disuguaglianza nella distribuzione del reddito”. E secondo l’Istat addirittura l’85% delle risorse sono assorbite dalle famiglie dei quinti più ricchi della distribuzione del reddito: effetto della progressività della tassazione. Circa il 50% del risparmio di imposta va ai contribuenti con reddito superiore ai 48mila euro, che rappresentano l'8% del totale; l'Upb calcola che nell'ambito dei lavoratori dipendenti, il beneficio medio è pari a 408 euro per i dirigenti, 123 per gli impiegati e 23 euro per gli operai; per i lavoratori autonomi è di 124 euro e per i pensionati di 55 euro. E la sterilizzazione della riduzione delle aliquote per i redditi più elevati produrrà effetti parziali. È un “intervento volto a tutelare i contribuenti con redditi medi”, rivendica invece Giorgetti. Non esente da critiche anche l’altra misura bandiera della manovra, la rottamazione voluta dalla Lega. Qui è Bankitalia a sottolineare come si tratti di “uno strumento che in passato non ha accresciuto l'efficacia nel recupero di gettito”, mentre per la Corte dei conti c'è “la possibilità che la misura possa ridurre la compliance fiscale”. Finito il giro di audizioni, la prima vera scadenza parlamentare scatterà venerdì 14 novembre alle 10.00 quando scadrà il termine per la presentazione degli emendamenti.
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Nel centrodestra si discute sottotraccia di legge elettorale
La linea ufficiale continua a essere quella del “tutto è fermo, nessuna novità”. Eppure, di legge elettorale all'interno della coalizione di centrodestra si parla da settimane. Anzi, il nodo che condizionerà tutta la fine della legislatura è stato l’argomento dominante anche nelle trattative per i candidati delle regionali di fine novembre, soprattutto tra FdI e Lega. Finora la questione è rimasta pubblicamente sottotraccia. Il leit motiv è che se ne parlerà almeno a gennaio, superato lo scoglio delle imminenti elezioni e poi della manovra. La base di partenza è un modello simile a quello delle Regionali con assegnazione del premio di maggioranza. Ma se è vero che due indizi fanno una prova, ormai non ci sono più dubbi che quel cantiere sia ufficialmente aperto. Il primo è un passaggio dell'intervista a Repubblica in cui il presidente del Senato Ignazio La Russa sostanzialmente ammette la concretezza dell'ipotesi che il premierato non sia più il piano A per ottenere una riforma in senso maggioritario del nostro sistema. D'altra parte, a differenza di quella della separazione delle carriere, la cosiddetta “madre di tutte le riforme” è impantanata alla Camera a ormai un anno e mezzo dalla prima approvazione in Senato. Il secondo indizio è una dichiarazione del Ministro dell'Agricoltura Francesco Lollobrigida che a margine del question time alla Camera decide di rispondere alle domande; a suo dire uno dei nodi del contendere è quello dell'indicazione del capo della coalizione: per FdI è la strada da seguire ma FI frena. Per FI resta tuttavia il tema di essere fagocitati anche per la semplice motivazione che è impossibile togliere dal simbolo il nome di Silvio Berlusconi e quindi è necessario trovare un sistema, come potrebbe essere quello dell'indicazione del leader di partito, per mettere in evidenzia il ruolo del segretario. A oggi nessuna riunione è stata fatta e non c'è nessuna convocazione programmata.
In Parlamento partono le firme per il referendum su separazione delle carriere
La corsa referendaria sulla riforma della giustizia entra nel vivo con i neonati comitati per il sì e per il no al lavoro in vista delle urne. Maggioranza e opposizioni hanno presentato alla Camera la richiesta per avviare la raccolta firme per il referendum confermativo sulla separazione delle carriere dei magistrati; ad annunciarlo e a formalizzarlo è stato il vicepresidente di turno di Montecitorio Giorgio Mulè. I deputati Sara Kelany (FdI), Enrico Costa (FI) e Simonetta Matone (Lega) sono stati indicati per la maggioranza “come delegati a cura dei quali la richiesta di referendum sarà depositata” nella “cancelleria della Corte di cassazione”. Mulè ha poi riferito che anche i deputati di opposizione Simona Bonafè (Pd), Carmela Auriemma (M5S) e Marco Grimaldi (Avs) hanno presentato la richiesta in rappresentanza delle opposizioni e che i capigruppo Chiara Braga (PD), Riccardo Ricciardi (M5S) e Luana Zanella (AVS) sono i delegati per il deposito in Cassazione. Gli azzurri sono in prima linea per il sì. Il vicepremier e segretario di FI Antonio Tajani assicura che “la famiglia Berlusconi è impegnata” nella campagna referendaria. Dal canto suo, Matteo Salvini spera che non ci siano forti scontri sulla separazione delle carriere. Il dibattito politico si è quindi acceso subito. Se il presidente di Nm Maurizio Lupi annuncia che “stiamo preparando il comitato di Noi Moderati per il Sì”, il leader di Iv Matteo Renzi lancia la sfida alla premier in vista del referendum: “È evidente che il Governo sta chiedendo la fiducia agli italiani”. Le firme delle opposizioni in Senato sono state già depositate in Cassazione. La linea sarebbe quella di non prestare il fianco a Giorgia Meloni e al suo Governo nel politicizzare la campagna referendaria. Il Pd non è chiamato a fare l'avvocato dell'Anm: i dem devono fare una campagna separata e parallela rispetto a quella della magistratura, senza cadere nel tentativo della destra di politicizzare la campagna attorno alla figura della premier. Sì ai comitati, quindi. La leader dem ha intenzione di fare una campagna d’informazione molto capillare per far capire cosa cambierà con la riforma: “Nulla”, sottolinea.
Mosca provoca sul crollo di Roma e la Farnesina convoca l’ambasciatore
La provocazione arriva con un certo tempismo, proprio mentre il ministro della Difesa Guido Crosetto annunciava un nuovo pacchetto di aiuti a Kiev, e l'occasione, colta dalla portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova, è la drammatica vicenda dei crolli alle Torre dei Conti ai Fori Imperiali, nel pieno centro storico di Roma: “Finché il governo italiano continuerà a spendere inutilmente i soldi dei suoi contribuenti per l'Ucraina, l'Italia crollerà tutta, dall'economia alle torri”, scrive la funzionaria di Mosca sul suo canale Telegram. Queste frasi suscitano la reazione indignata della Farnesina, che ha convocato l'ambasciatore russo in Italia Alexey Paramonov per procedere con un richiamo formale. Dal canto suo il diplomatico di Mosca, a cui è stato rivolto un richiamo formale, non ha fatto alcun accenno a scuse per quanto detto da Zakharova. Ad ogni modo, Rossiyskiy non solo non ha fatto alcun passo indietro, ma ha perfino rincarato, presentando “ferme rimostranze in merito all'aggressiva, esecrabile campagna antirussa promossa da Roma sui media”. Per il diplomatico russo, infatti, le parole di Zakharova volevano esprimere solo “fondate preoccupazioni” per la riduzione dei finanziamenti destinati ai beni culturali italiani, e sono solo servite da “pretesto” alla “campagna anti-russa promossa da Roma”. Lo scontro sulla sostanza è sconfinato anche alla forma visto che il rappresentante russo ha avuto da ridire sulla “scarsa cortesia diplomatica” della Farnesina.
Arrestato in Libia Almasri. Le opposizioni attaccano, il Governo “sapevamo”
L'affondo delle opposizioni sul caso Almasri appare “singolare” proprio perché l'affaire che ha coinvolto il generale libico era già “tutto noto”. L'esecutivo italiano era bene a conoscenza dell'esistenza di un mandato di cattura emesso dalla Procura Generale di Tripoli a carico del libico Almasri già dal 20 gennaio 2025. E in quella data il Ministero degli Esteri italiano aveva ricevuto, pressoché contestualmente con l'emissione del mandato di cattura internazionale della Procura presso la Corte Penale Internazionale de L'Aja, una richiesta di estradizione da parte dell'Autorità giudiziaria libica. Questo dato ha costituito una delle fondamentali ragioni per le quali il Governo italiano ha giustificato alla CPI la mancata consegna di Almasri e la sua immediata espulsione proprio verso la Libia. Secondo le opposizioni è una vicenda per la quale il Governo “deve chiedere scusa” e che ha “umiliato” il Paese ma Giorgia Meloni si dice stupita proprio perché, è il ragionamento, era noto che i libici avevano chiesto di poter catturare loro Almasri. È evidente che per la procura in Libia il diritto internazionale non “vale solo fino a un certo punto”, affonda la segretaria del Pd Elly Schlein ripetendo le contestatissime parole pronunciate da Antonio Tajani in tv a proposito della Flotilla diretta a Gaza poche settimane fa. Peraltro, il Ministro degli Esteri, che solitamente non si sottrare al confronto con la stampa, interpellato in Parlamento ha declinato ogni invito a commentare la vicenda. Una “vergogna” per l'immagine dell'Italia, insiste Giuseppe Conte, mentre di pagina “vergognosa” parla anche il leader di Iv Matteo Renzi.
Scontro Fdi-Ranucci in Vigilanza sul ruolo di Fazzolari
Scontro in Commissione di vigilanza sulle rivelazioni di Sigfrido Ranucci in merito al ruolo del sottosegretario Giovanbattista Fazzolari, che avevano portato alla secretazione di una parte dell'audizione in Commissione Antimafia. La miccia si è accesa quando la deputata di FdI Sara Kelany si è opposta a una analoga procedura in Vigilanza, sostenendo che il tenore delle dichiarazioni di Ranucci non fosse tale da necessitare la secretazione, non essendoci nulla di particolarmente sensibile, e che quanto avvenuto in Commissione Antimafia, a seguito di una domanda del senatore M5S Roberto Scarpinato, potesse apparire come “una macchinazione per far aumentare l'alone di mistero su una vicenda destituita di fondamento”. Ranucci, di fronte a questa presa di posizione, ha quindi chiarito pubblicamente quanto di sua conoscenza: “Mi risulta che Fazzolari, dopo una nostra inchiesta sul ruolo del padre della premier Meloni che forniva droga al clan Senese, ha ispirato l'attivazione dei servizi per cercare di capire quali fossero le mie fonti”. Il giornalista ha precisato di non aver mai detto che Fazzolari lo abbia fatto pedinare. Poi ha risposto alla domanda sul perché non abbia denunciato la vicenda: “Quando lo Stato, che è lì per la tutela anche della presidente del consiglio, dà informazioni che possono destabilizzarlo, trovo normale che i servizi possano essere attivati”. Al termine della seduta, la presidente della Commissione Barbara Floridia ha comunque dato via libera alla secretazione. Secondo i componenti del Pd in Vigilanza, si tratta della “solita strategia per alzare il polverone pur di non rispondere alla domanda principale: il Governo ha spiato Report e Ranucci?”.
Botta e risposta tra Meloni e opposizioni sulla sicurezza
Scoppia la polemica sulla sicurezza. “Leggo che alcuni esponenti della sinistra sostengono che questo Governo 'non avrebbe investito nulla sulla sicurezza'”, sottolinea sui social la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, che snocciola una serie di dati dalle assunzioni alla lotta alla mafia, oltre a ricordare i provvedimenti adottati negli anni di governo, come il “decreto Sicurezza” e l'introduzione di “pene più severe per chi minaccia e aggredisce i nostri uomini e donne in divisa”. Ma le opposizioni attaccano: “Ho visto che Giorgia Meloni si è offesa, ma non si deve offendere perché quando parliamo” di sicurezza “lo facciamo su dati ufficiali, che sono pubblicati sul sito del Viminale”, osserva il presidente del M5S Giuseppe Conte. E il dem Matteo Mauri, responsabile Sicurezza del partito guidato da Elly Schlein, commenta: “Questo Governo usa il tema della sicurezza ma non fa nulla per chi la garantisce davvero”, “la Polizia di Stato continua a perdere effettivi”.
La vittoria di Mamdani a NY galvanizza il centrosinistra
La vittoria del socialista Zoharn Mamdani, primo sindaco musulmano di New York, galvanizza la sinistra italiana che vede nel trionfo del democratico negli Stati Uniti di Donald Trump una speranza di riscatto progressista anche a Roma. Anche negli Usa “la strada per battere il trumpismo è ancora lunga. Intanto ci godiamo questa bella vittoria”, dice il segretario di Più Europa Riccardo Magi. Per il M5S non interviene il leader Giuseppe Conte ma i capigruppo di Camera e Senato Francesco Silvestri e Stefano Patuanelli, che plaudono ai programmi elettorali del neosindaco e auspicano anche qui una svolta, dalle politiche abitative a quelle fiscali, in favore dei più poveri. Opposta la lettura della maggioranza. “Socialista, pro-Pal, pro-gender, ha dichiarato che serve togliere fondi alla polizia, che non dovrebbero esistere i miliardari e nel 2021 aveva persino strizzato l'occhio all'abolizione della proprietà privata. Ecco i nuovi idoli della sinistra”, attacca il leader della Lega Matteo Salvini. Anche FI punge l'opposizione e la deputata meloniana Ylenja Lucaselli sferza il Pd: “Avendo innalzato una figura simile a modello, Schlein e soci confermano che di democratico hanno solo il nome”.
I sondaggi della settimana
Negli ultimi sondaggi realizzati dall’Istituto SWG il 3 novembre, tra i partiti del centrodestra Fratelli d’Italia sale al 31,4%. In seconda battuta, il Partito Democratico perde 0,1 punti, attestandosi al 21,9%. Terza forza nazionale il Movimento 5 Stelle che perde 0,2 punti e si attesta al 12,6%. Tra le altre forze del centrodestra, la Lega resta stabile all’8,2%, mentre Forza Italia scende all’8,0%. Nella galassia delle opposizioni, AVS scende al 6,6%. I centristi vengono rilevati singolarmente con Azione (3,1%), IV (2,5%), +Europa (1,7%) e Noi Moderati (1,0%).

La stima di voto per la coalizione di centrodestra (FdI, Lega, FI, Noi Moderati) segna +0,1% rispetto all’ultima rilevazione, salendo al 48,6%. Il centrosinistra (Pd, All. Verdi Sinistra) registra il 28,5% delle preferenze; fuori da ogni alleanza, il M5S, perde 0,2 punti e si attesta al 12,6%. A chiudere il Centro che registra un risultato con segno positivo di 0,1 punti, salendo al 7,3%.

- Nel giorno delle Forze Armate Mattarella parla di difesa europea
- Giorgetti chiude le audizioni sulla legge di bilancio
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- In Parlamento partono le firme per il referendum su separazione delle carriere
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