Contestualmente alle elezioni politiche, domenica 4 marzo si sono svolte anche le consultazioni per il rinnovo del Consiglio Regionale del Lazio. Il presidente uscente Nicola Zingaretti si è ricandidato per un secondo mandato riuscendo nell’impresa di tenere unito il centrosinistra, inglobando nella coalizione anche Liberi e Uguali, ma non Civica Popolare, la lista guidata dalla Lorenzin. A contendersi la guida della Pisana c’erano Stefano Parisi per il centrodestra, Roberta Lombardi per il Movimento 5 Stelle, Sergio Pirozzi a capo di una coalizione di due liste civiche con un’impostazione di centrodestra (Sergio Pirozzi Presidente e Lista Nathan), Stefano Rosati con la lista sovranista Riconquistare l’Italia, Mauro Antonini di Casapound, Giovanni Paolo Azzaro alla guida di una rediviva Democrazia Cristiana, l’ex assessore alla sicurezza di Roma Jean Leonard Touadì di Civica Popolare e infine Elisabetta Canitano di Potere al Popolo.
Zingaretti confermato alla guida della Regione
L’affluenza alle urne, grazie anche alla contestualità delle elezioni politiche, è stata significativa. Nel complesso si sono recati alle urne 3.181.235 elettori, pari al 66,5%. Una percentuale che però è di 11 punti inferiore al 77,5% di elettori che hanno votato alle consultazioni per il rinnovo delle Camere. Rispetto alle elezioni regionali del 2013 l’affluenza è calata del 5,5%: allora l’affluenza raggiunse il 72%.
Rispetto a cinque anni fa gli equilibri regionali appaiono decisamente modificati. I risultati di questa tornata elettorale consegnano una regione sostanzialmente divista tra centrosinistra, centrodestra e Movimento 5 Stelle. Nicola Zingaretti, non senza difficoltà, è stato rieletto per un secondo mandato. Nel complesso ha ottenuto il 32,9% delle preferenze pari ad 1.018.736 di voti. Non molto distante Stefano Parisi che ha raggiunto il 31,1% delle preferenze. La candidata del Movimento 5 Stelle, Roberta Lombardi, ha conquistato il 26,9% dei voti. Un risultato di poco sopra a quanto ottenuto nel 2013 quando il candidato pentastellato Davide Barillari raccolse il 20,2%.
L’outsider Sergio Pirozzi ha ottenuto il 4,8%. Un risultato importante che sicuramente peserà nella prossima legislatura. Seguono Mauro Antonini di Casapound con l’1,9%, Elisabetta Canitano di Potere al Popolo che ha raggiunto l’1,4%, seguita da Stefano Rosati, Giovanni Paolo Azzaro e Jean Leonard Touadì le cui formazioni non hanno superato lo 0,3% delle preferenze.Il sistema elettorale laziale prevede una doppia competizione: maggioritaria a turno unico per la carica di Presidente (chi ha un voto in più vince) e proporzionale con distribuzione provinciale dei seggi (almeno un seggio per ogni provincia), premio di maggioranza (fino a dieci seggi) per le liste collegate al Presidente della Regione che ottiene un voto in più degli avversari e doppio voto di preferenza per l’elezione dei consiglieri regionali.
Un seggio viene assegnato di diritto al secondo candidato presidente più votato. È’ inoltre previsto il voto disgiunto e il divieto di terzo mandato per chi è stato Presidente per due mandati consecutivi.
I membri del Consiglio regionale sono 50, compreso il Presidente della Regione. Il premio di maggioranza, in ogni caso, non può portare la coalizione vincente ad avere più del 60% dei seggi consiliari. E’ anche possibile che, in caso di risultato non esaltante del candidato presidente eletto, il premio di maggioranza non sia decisivo per la formazione di una maggioranza.
La composizione del Consiglio Regionale
Il sistema elettorale del Lazio si differenzia dal Rosatellum per la facoltà che dà all’elettore di eleggere, nel medesimo istante, sia il Presidente della Regione sia il Consiglio regionale. Come già accaduto nelle elezioni siciliane, un meccanismo di questo tipo non sempre garantisce la formazione di maggioranze solide.
Nel caso del Lazio, l’effetto è ancor più dirompente: nonostante il premio di maggioranza di dieci seggi, il candidato eletto Nicola Zingaretti arriva ad un soffio dall’avere la maggioranza assoluta dei seggi nel Consiglio regionale in virtù della ripartizione proporzionale dei seggi e, soprattutto, del deludente risultato delle liste in suo appoggio. Dei 50 seggi totali, infatti, solo 25 appartengono alla coalizione di centrosinistra compreso il seggio assegnato d’ufficio al presidente eletto (in una situazione del genere la presenza di Zingaretti in Consiglio si rivela fondamentale). All’interno della coalizione progressista, il Pd conquista 18 seggi, lasciando le briciole ai partner: 3 alle Lista Zingaretti, e uno a testa rispettivamente per Liberi e Uguali, +Europa e Centro Solidale.
Il centrodestra guidato da Stefano Parisi si ferma ad un passo dalla conquista della Regione ma si conferma come la forza di maggioranza relativa (36,4% contro il 34,2% del centrosinistra). A causa del premio di maggioranza assegnato a Zingaretti, porta in Consiglio solo 15 consiglieri di cui 6 di Forza Italia, 4 della Lega, 3 di Fratelli d’Italia, uno per Noi con l’Italia-Udc e Stefano Parisi in qualità di candidato presidente sconfitto.
Il Movimento 5 Stelle si riconferma primo partito regionale con il 22% dei voti pur non riuscendo veramente a contendere la leadership, ed elegge 10 consiglieri. Chiude l’elenco degli eletti la lista Pirozzi che sarà rappresentata in Consiglio dal sindaco di Amatrice.
Il Commento di Nomos
Dalle elezioni regionali in Lazio viene confermato l’assetto tripolare della competizione. Grazie al premio di maggioranza, che questa volta ha premiato il centrosinistra, Nicola Zingaretti potrà governare per i prossimi cinque anni. Quello che è certo però è che, per il neorieletto Presidente, governare non sarà affatto semplice visto che al momento gli manca un consigliere per raggiungere la maggioranza assoluta in consiglio regionale. Un effetto generato dal considerevole calo del consenso elettorale e dal massiccio utilizzo del voto disgiunto e al solo candidato presidente.
In uno scenario nazionale di estrema debolezza delle forze di sinistra, la vittoria di Zingaretti, anche se trainata dal carisma del candidato più che dalla forza delle liste in suo appoggio, si rivela essere una boccata d’ossigeno per l’area progressista. Dal punto di vista del centrodestra, il risultato di Stefano Parisi lascia un retrogusto agrodolce simile a quanto successo durante l’elezione comunale di Milano nel 2016 caratterizzata da partenza in salita, rimonta importante e sconfitta per pochi voti. Sicuramente un duro colpo per l’ex city manager della città meneghina che ha dovuto soccombere, soprattutto, a causa della concorrenza a destra di Sergio Pirozzi, determinante nel drenare voti all’area moderata. La vera sconfitta della tornata elettorale è, infine, Roberta Lombardi che puntava a scalzare Virginia Raggi dal ruolo di maggior rappresentante istituzionale del Movimento. Il risultato deludente della lista, addirittura, è di dieci punti inferiore a quanto conquistato dal Movimento 5 Stelle a livello nazionale e frena non poco l’ascesa della Lombardi all’interno delle gerarchie grilline.
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