In concomitanza con le elezioni politiche e le Regionali nel Lazio, si sono tenute in Lombardia le elezioni per il nuovo Consiglio regionale e del Presidente della Regione. Il governatore uscente, Roberto Maroni, all’ultimo ha deciso di non ricandidarsi per un secondo mandato scombussolando i piani sia del centrodestra sia del centrosinistra. A contendersi, quindi, la poltrona più importante di Palazzo Lombardia sono stati sette candidati: Attilio Fontana per il centrodestra, Giorgio Gori per il centrosinistra, Dario Violi per il Movimento 5 Stelle, Onorio Rosati per Liberi e Uguali, Giulio Arrighini per Grande Nord, Angela De Rosa per Casapound e Massimo Gatti di Sinistra per la Lombardia.
Il Centrodestra si riconferma egemone in Lombardia
L’affluenza alle urne, grazie anche alla contestualità delle elezioni politiche, è stata significativa. Nel complesso si sono recati alle urne 5.762.453 elettori, pari al 73,1%. Rispetto alle Politiche, il dato percentuale è di tre punti inferiore al 76,8% di elettori che hanno votato alle consultazioni per il rinnovo delle Camere. Rispetto alle elezioni regionali del 2013 l’affluenza è calata dei circa il 3%: allora l’affluenza raggiunse il 76,7%.
Il risultato elettorale è stato ancora più netto di quello di cinque anni fa: allora la Lega vinse grazie all’alleanza, mal digerita, con Silvio Berlusconi e alla leadership di Roberto Maroni su Umberto Ambrosoli che arrivò a soli quattro punti dalla vittoria.
Attilio Fontana, capitalizzando il quinquennio maroniano e grazie al traino nazionale di Matteo Salvini, arriva a sfiorare la maggioranza assoluta (49,8%) distaccando Giorgio Gori di venti punti (29,1%) e spedendo il candidato pentastellato Dario Violi al terzo posto con il 17,4% certificando le difficoltà del partito di Grillo a penetrare in territorio lombardo. Infine, risulta estremamente deludente il risultato di LeU che rimane sotto il 2% con Onorio Rosati e degli altri candidati Angela De Rosa (0,9%), Massimo Gatti (0,7%) e Giulio Arrighini (0,3%).
Il sistema elettorale lombardo prevede una doppia competizione: maggioritaria a turno unico per la carica di Presidente (chi ha un voto in più vince) e proporzionale con distribuzione provinciale dei seggi (almeno un seggio per ogni provincia), premio di maggioranza per le liste collegate al Presidente della Regione eletto e doppio voto di preferenza per l’elezione dei consiglieri regionali.
I membri del Consiglio regionale sono 80, compreso il Presidente della Regione. Se il Governatore viene eletto con meno del 40% dei voti, alle liste collegate vengono assegnati almeno 44 seggi (il 55% dei seggi consiliari), se ottiene il 40% o più dei voti validi, vengono assegnati almeno 48 seggi (cioè il 60% dei seggi consiliari). Un seggio viene assegnato di diritto al secondo candidato presidente più votato.
È inoltre previsto il voto disgiunto e il divieto di terzo mandato per chi è stato Presidente per due mandati consecutivi.
La composizione del Consiglio Regionale
A differenza delle elezioni nel Lazio, in cui le urne non hanno restituito al presidente eletto Nicola Zingaretti la maggioranza per poter governare, in Lombardia il risultato roboante di Attilio Fontana ha evitato questo inconveniente.
Attilio Fontana gode di una maggioranza molto larga composta da 49 consiglieri regionali in cui la Lega fa la parte del leone con 24 eletti, seguita da Forza Italia (14) e Fratelli d’Italia (3). Ad appoggiare il presidente leghista saranno anche la lista civica Fontana Presidente, Noi con l’Italia – Udc ed Energie per la Lombardia con un consigliere a testa. Il risultato più clamoroso all’interno della coalizione è il pieno di voti fatto della Lega che comporta la quasi scomparsa della civica Fontana Presidente.
Mentre il Movimento 5 Stelle elegge 13 consiglieri, in crescita di quattro unità dalla scorsa elezione, il centrosinistra verrà rappresentato a Palazzo Lombardia da 17 consiglieri, quattro in meno di quelli in appoggio di Umberto Ambrosoli nella X Legislatura.Per la coalizione progressista si tratta di un risultato negativo anche se il candidato presidente Giorgio Gori ha raccolto il 3% in più di voti rispetto al totale dei voti raccolti dalle liste in appoggio. Un risultato in controtendenza con quello di Attilio Fontana e Dario Violi, i quali hanno preso meno voti della coalizione. Il fatto, dunque, che il centrosinistra abbia goduto di un rendimento coalizionale positivo (la somma dei voti maggioritari per l’elezione del Presidente è maggiore dei voti raccolti dalle liste in appoggio) denota il valore aggiunto rappresentato dalla candidatura di Giorgio Gori, cosa che non si può dire per il candidato leghista e quello grillino. Per altro, era un esito prevedibile dato il sostanziale anonimato di Fontana e Violi.
Il Commento di Nomos
A differenza di quanto accaduto a livello nazionale, in Lombardia, la competizione elettorale non si sviluppa intorno ad un assetto perfettamente tripolare. In questa regione il centrodestra mette a segno una vittoria a tutto campo che ha risentito in modo positivo dello Zeitgeist italiano emerso nelle consultazioni elettorali nazionali. Il centrodestra di Fontana guadagna, addirittura, qualche punto percentuale in più dei voti che la stessa coalizione ha raccolto alle Politiche ribadendo la precisa identità politico-culturale della popolazione lombarda. Come già accennato in precedenza, la Lega si pone sempre di più come l’attore principale della coalizione controllando più di un terzo dei seggi in Consiglio regionale.
Per le opposizioni la battaglia sarà dura: il centrosinistra è rappresentato praticamente solo dal Pd che si afferma come secondo partito a livello regionale (cinque anni fa era saldamente il primo) ma fa peggio del risultato ottenuto alle politiche frenando l’operazione di rafforzamento cominciata con le Europee del 2014 e proseguita, in un certo modo, con il Referendum Costituzionale del 2016. Infine, il Movimento 5 Stelle si dimostra, ancora una volta, non in sintonia con l’elettorato lombardo. Nonostante il risultato di tutto rispetto perde più di quattro punti rispetto al voto delle Politiche e presenta, ancora una volta, candidati di scarso appeal.
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