Contestualmente alle elezioni regionali in Calabria e alle suppletive a Siena e a Roma, si è votato anche per il rinnovo delle cariche elettive in più di 1.100 comuni in tutta Italia. Nei comuni superiori ai 15.000 abitanti in cui nessun candidato ha raggiunto la maggioranza assoluta dei voti, si tornerà alle urne domenica 17 e lunedì 18 ottobre per il turno di ballottaggio. In questi comuni, le liste hanno tempo fino a lunedì 11 ottobre per decidere gli apparentamenti in vista del secondo turno. Per quanto riguarda, invece, le elezioni amministrative nei comuni della Sicilia e della Sardegna, il primo turno si svolgerà il 10 e 11 ottobre, con eventuale ballottaggio il 24 e 25 ottobre mentre in Trentino-Alto Adige si voterà esclusivamente il 10 ottobre.
Rispetto alle ultime elezioni comunali, emerge con forza il dato estremamente negativo dell’affluenza: con un tasso di partecipazione al voto del 54,7%, viene registrato un calo di quasi sette punti percentuali rispetto alle amministrative di cinque anni fa (61,6%).
Tra i 25 comuni con popolazione superiore ai 40.000 abitanti (tra cui sono presenti anche sei capoluoghi di regione come Roma, Milano, Napoli, Torino, Bologna e Trieste), dieci comuni erano amministrati dal centrodestra, otto dal centrosinistra, tre dal M5S, due da partiti di sinistra e uno da una lista civica. La tornata elettorale appena conclusa ha sancito la vittoria al primo turno in tredici comuni: sei saranno amministrati dal centrodestra (Novara, Busto Arsizio, Gallarate, Pordenone, Chioggia e Grosseto) e sette dal centrosinistra (Milano, Napoli, Bologna, Rho, Ravenna, Rimini e Isernia) e, a parte Battipaglia e Cerignola dove il candidato di centrosinistra sfiderà un civico, al secondo turno saranno il centrodestra e il centrosinistra a contendersi la vittoria.
Centrodestra, Lega in difficoltà, FdI non perde, FI è croce e delizia
Le ultime settimane di campagna elettorale sono state molto dure per Lega e FdI. L’inchiesta di Fanpage sul finanziamento illecito della campagna elettorale milanese di Fratelli d’Italia che ha visto coinvolto il capo delegazione al Parlamento europeo Carlo Fidanza e le accuse nei confronti di dell’ex capo della comunicazione di Salvini Luca Morisi nell’ambito dell'indagine per cessione e detenzione di sostanze stupefacenti hanno inciso negativamente sulla reputazione dei due partiti.
Un effetto che, se si può riscontrare, ha riguardato più che altro Matteo Salvini, la cui leadership è uscita indebolita dalle urne. Il Capitano leghista, pur ammettendo di aver presentato i candidati in ritardo rispetto ai competitors, non tiene conto anche di altri errori come la ricerca a tutti i costi di candidati civici che, al netto di dubbi sulle loro competenze, hanno mostrato scarse capacità di mobilitazione. Oltre a questo, i continui litigi e i veti incrociati all’interno della coalizione (soprattutto con FdI) hanno lanciato messaggi contraddittori all’elettorato raccogliendo risultati molto deludenti che hanno ridimensionato le ambizioni leghiste.
Se la Lega piange nemmeno FdI può essere pienamente soddisfatto del risultato del primo turno: è vero che, quasi ovunque, il partito raggiunge e a volte supera la Lega, ma le percentuali rimangono comunque mediamente basse e non lanciano, per il momento, la Meloni come leader indiscussa della coalizione. Al momento, si tratta più che altro di una coabitazione forzata che, paradossalmente, potrebbe favorire indirettamente la terza gamba del centrodestra: Forza Italia. Proprio il partito di Berlusconi, che fa registrare percentuali non propriamente esaltanti e resiste, di fatto, solo al Sud, riesce a riconquistare la Calabria e ad arrivare ad un soffio dalla vittoria al primo turno a Trieste con Roberto Dipiazza. In questo contesto di scarsa capacità del centrodestra di trovare una sintesi politica tra le diverse posizioni e di selezionare una classe dirigente competitiva, potrebbe risultare nuovamente centrale la capacità di federatore di Berlusconi. I risultati di questa tornata segnano un deciso punto di cesura con la narrazione che vedrebbe il centrodestra come il favorito naturale per le prossime Politiche.
Centrosinistra, Letta può gioire per centralità del PD. Il M5S è in difficoltà
Il vero vincitore di queste elezioni è indiscutibilmente il PD di Enrico Letta che riesce a imporsi al primo turno in molte città e a Roma e Torino ha buone possibilità di spuntarla al secondo turno. Il PD è primo partito a Milano, Torino, Bologna e Napoli e mostra chiaramente come ogni progetto politico alternativo al centrodestra non possa prescindere dal partito di Enrico Letta. Unico partito che sarà presente in tutti i ballottaggi, il PD avrà la possibilità di consolidare il progetto di allargamento al M5S (più facile a Roma con Gualtieri, molto meno a Torino dove Lorusso è stato molto critico con l’Appendino) oppure di ragionare pragmaticamente e ricercare un’apertura a quei soggetti centristi che potrebbero essere interessati ad una qualche forma di collaborazione (in primis Carlo Calenda a Roma).
Nonostante la nuova leadership di Giuseppe Conte, il M5S certifica ancora una volta la scarsa competitività a livello locale, non confermando nessun sindaco uscente e non aggiudicandosi nemmeno l’accesso al ballottaggio con candidati propri. Se a Roma, con il 19,1%, Virginia Raggi ha dimostrato di avere ancora uno zoccolo duro di elettori (anche se partiva dal 67% con cui si era imposta al ballottaggio cinque anni fa), la situazione precipita in tutti gli altri capoluoghi di regione: a Bologna e anche a Napoli, dove si presenta con il PD, contribuisce in modo superficiale alla vittoria dei candidati comuni; a Milano e a Trieste viene superato anche dai candidati no-vax mentre a Torino con circa il 9% rimane lontanissimo dal vertice. Il progetto di alleanza organica tra PD e M5S, come già testimoniato dalle scorse tornate elettorali locali, non porta dividendi consistenti ma potrebbe tornare utile in vista delle politiche. Al momento, il M5S rappresenta il junior partner per il PD con un forte radicamento nel Sud, in modo speculare e contrario a ciò che era la Lega Nord di Bossi per Berlusconi.
Nessuna ripercussione sulla tenuta del Governo: Draghi prosegue ma attenzione ai mal di pancia leghisti
I risultati della due giorni di votazioni non incideranno sulla tenuta del Governo Draghi. Tutti i partiti sono stati chiari nello svincolare l’esito elettorale dalle sorti del Governo a parte la Lega: se, da una parte, Salvini ha assicurato fedeltà al Governo, dall’altra ha chiesto maggiore incisività per riguadagnare terreno nei confronti di FdI e come prima mossa ha disertato il Consiglio dei ministri che ha dato il via libera alla bozza sulla delega fiscale.
In ogni caso, l’ottimo risultato del PD, il partito pro-sistema per eccellenza, blinda ancor di più l’esecutivo che ora, per bocca del segretario dem, punterebbe dritto al 2023. Bisognerà vedere cosa succederà durante le trattative per l’elezione del prossimo Presidente della Repubblica nel febbraio 2022 ma quel che è certo è che, per il momento, Mario Draghi punta ad accelerare il percorso delle riforme promesse all’Europa.
Elezioni Amministrative – Comuni capoluogo di regione 3 – 4 ottobre 2021
Roma, terminata l’esperienza Raggi: al ballottaggio vanno Michetti e Gualtieri
Le elezioni comunali a Roma confermano un trend ormai consolidatosi: dal 2006 la contesa elettorale nella Capitale si risolve al secondo turno. Così sarà anche quest’anno con il ritorno alla sfida tra il candidato di centrodestra Enrico Michetti e quello di centrosinistra Roberto Gualtieri. Come ampiamente pronosticato, Enrico Michetti ha conquistato il primo posto con il 30,1%, staccando di tre punti percentuali Roberto Gualtieri che si è fermato al 27%, scontando la concorrenza del leader di Azione Carlo Calenda e della sindaca uscente Virginia Raggi. Tuttavia, il vincitore morale del primo turno è indubbiamente il leader di Azione che ha sfilato la terza posizione all’ex sindaca, raggiungendo il 19,8% mentre la Raggi sconta il forte calo di consensi subìto durante i cinque anni di amministrazione e si ferma al 19,1%.
Allarmante è il dato dell’affluenza, che si ferma al 48,8% (-8% rispetto al 2016) con le periferie che dovevano essere l’ago della bilancia della competizione, avendo contribuito ampiamente alla vittoria della candidata pentastellata cinque anni fa, ma che hanno fatto registrare il più alto tasso di astensione.Alle elezioni del 2016 la coalizione di centrodestra si era presentata separata e non era andata al ballottaggio né al Comune né in nessuno dei quindici Municipi. Cinque anni dopo, Enrico Michetti è avanti al primo turno grazie all’unione della coalizione a forte trazione meloniana e alla vittoria nei municipi già feudi grillini, consolidando la tendenza del centrodestra a prevalere nelle zone fuori dal centro storico. FdI non perde il primato nel centrodestra e migliora la sua performance, passando dal 12,2% del 2016 al 17,4% di oggi, non riuscendo ad attestarsi come primo partito di Roma a causa dell’exploit di Calenda ma confermando il forte radicamento nella città.
Boom di preferenze per la consigliera uscente Rachele Mussolini che con più di 8.000 voti si fregia del titolo di “lady preferenze”. Nonostante il raddoppio dei voti rispetto al 2016, il Carroccio non può sorridere: il confronto con le Europee del 2019 è impietoso, in quanto allora la Lega si era affermata come secondo partito di Roma con il 25,8%, mente oggi si ferma al 5,9% e ha disperso più di 225mila voti provenienti principalmente dalle periferie. Forza Italia arretra ancora, scendendo sotto il 4% e perdendo quasi 15.000 voti dal 2019. Per quanto concerne gli altri partiti della coalizione, la lista Michetti sindaco prende il 2,5% mentre Rinascimento di Vittorio Sgarbi non riesce a raggiungere il 2%. Inesistente il Partito Liberale Europeo con lo 0,1%.
Anche in questa tornata il centrosinistra arriva al ballottaggio da seconda, con Roberto Gualtieri che prende meno rispetto alla sua coalizione e apre già agli elettori di Calenda e Raggi sulla base di “una convergenza naturale”. Il PD ottiene il 16,4% e peggiora rispetto al 2016 (17,4%), lasciando per strada 40.000 voti, oltre a non riconfermarsi primo partito della Capitale; tuttavia, mantiene il suo fortino nelle zone centrali dove è tallonato da Carlo Calenda e punta a raddoppiare i minisindaci rispetto a cinque anni fa. All’interno della coalizione brilla la lista civica di Gualtieri che si assesta al 5,4% mentre le altre anime del centrosinistra (Roma Futura, Sinistra Civica Ecologista, Demos, Europa Verde e PSI) restano tutte sotto al 2%. Spicca soltanto la performance del leader di Roma Futura, Giovanni Caudo, sconfitto da Gualtieri alle primarie, che ottiene 4.800 voti di preferenza e si candida a un ruolo di peso all’interno dell’eventuale giunta Gualtieri.
Influenza importante al ballottaggio l’avrà Carlo Calenda, che dopo una campagna elettorale lunga un anno, sfiora il 20% e a sorpresa conquista il titolo di lista più votata a Roma. Nel I municipio si attesta al secondo posto e addirittura nel II municipio, quartiere in cui è cresciuto, finisce primo ottenendo il 36% dei voti, pur non sfigurando anche nelle altre parti di Roma. Questo risultato è dovuto non soltanto alle buone prestazioni dell’unica lista civica che lo sosteneva (19,1%), ma anche al voto disgiunto che l’ha premiato con circa 20.000 voti in più rispetto alla sua lista: sintomo che Calenda è stato votato sia da destra che da sinistra, rubando voti presumibilmente al candidato di centrosinistra. Per questo motivo, ha già dichiarato che non farà apparentamenti formali prima del ballottaggio, lasciando libertà di voto ai suoi elettori, facendo però trasparire una preferenza personale per Gualtieri, a patto che non imbarchi esponenti grillini nella propria giunta.
La disfatta vera e propria porta il nome di Virginia Raggi: la sindaca uscente perde la metà dei voti ottenuti nel 2016, quando la valanga gialla aveva sfondato quota 35%, e finisce quarta con il 19,1%, prima sindaca uscente a non approdare neanche al secondo turno. Ciononostante, è la candidata che ha ottenuto di più con il voto disgiunto, prendendo più di 30.000 voti rispetto alla coalizione che la appoggiava. A fare peggio è il M5S che chiude con l’11% e ridurrà la sua pattuglia di consiglieri comunali da 29 a 3 o 4, oltre a non confermare nessun minisindaco e a restare fuori in tutti i municipi, tranne nel VI dove la candidata grillina la spunta per 9 voti.
Quanto alle altre liste che sostenevano la Raggi, solo la sua lista civica riporta un risultato dignitoso, con il 4,3% mentre le altre civiche restano tutte sotto l’1%. Come il leader di Azione, anche la Raggi ha esplicato la sua volontà di non dare indicazioni di voto al ballottaggio ma a spingere l’ex sindaca verso un’intesa con il candidato di centrosinistra potrebbe essere l’alleanza giallorossa a livello nazionale, insieme ad alcuni pentastellati, come l’assessora regionale Roberta Lombardi, che preme per trasferire a livello comunale l’accordo con il PD, già consolidato a livello regionale.
Gli altri diciassette candidati non pervenuti, prendendo in tutto il 3,9% con il primo degli ultimi che è il candidato del Movimento 3V, il no vax Luca Teodori con lo 0.6%.
La situazione nei Municipi
Cambia la geografia politica dei municipi a Roma: il M5S ha perso tutti gli 11 municipi in cui governava, dopo essere stato sconfitto alle elezioni del 2018 nei municipi III e VIII dove era stato sfiduciato. Bilancio, dunque, inquietante: cinque anni fa la mappa di Roma era totalmente gialla dopo il ballottaggio tranne che per il centro storico e il quartiere Nomentano/Parioli; oggi i pentastellati non raggiungono il secondo turno in nessun municipio, salvandosi sul filo di lana soltanto al VI municipio dove la candidata Francesca Filipponi passa con uno scarto di 9 voti sul candidato di centrosinistra ma la sfida si annuncia proibitiva con il centrodestra che ha chiuso il primo turno con più del 40%.
Sarà quindi ballottaggio per il ruolo di minisindaco tra il candidato di centrodestra e quello di centrosinistra in tutti gli altri municipi: il centrodestra è avanti in sette municipi (IV, VI, IX, X, XIII, XIV, XV), tra cui spiccano Ostia e Tor Bella Monaca, territori in cui il M5S aveva costruito i suoi consensi, che oggi dovrebbero finire facilmente nelle mani del centrodestra; il centrosinistra parte in vantaggio in sei municipi (I, II, III, VII, VIII, XII), con l’VIII che ha tributato al presidente uscente Amedeo Ciaccheri il 46,1% dei voti e il I municipio che dovrebbe rimanere appannaggio dei piddini, mentre nel V e nell’XI i candidati partono da una situazione di parità con il centrodestra di poco avanti.
Milano, Sala vince in scioltezza e fa il pieno in tutti i municipi
Nessuna sorpresa dalle urne milanesi, il candidato indipendente del centrosinistra Beppe Sala è stato nuovamente eletto sindaco del comune meneghino al primo turno con il 57,7%, sconfiggendo il primario di Pediatria Luca Bernardo (32,0%) del centrodestra giunto secondo. Forbice ampia tra i due che ha confermato i dati dei sondaggi e dei primi exit poll alla chiusura delle urne. Molto staccati il leader di Italexit Gianluigi Paragone (3,0%), che per una manciata di voti manca l’accesso in Consiglio Comunale, e la manager candidata grillina Layla Pavone (2,7%). Basso il dato relativo all’affluenza, con solo il 47,7% degli aventi diritto che si sono recati a votare: in discesa anche rispetto al 2016 quando al primo turno votò il 54,7% degli elettori e la più bassa di sempre in città.Dopo aver ricevuto l’appoggio di tutto il centrosinistra senza dover ricorrere alle primarie, Beppe Sala ha vinto già agevolmente al primo turno la tornata elettorale milanese, migliorando il risultato del 2016 quando vinse con poco meno di 4 punti percentuali di scarto solo al secondo turno contro il candidato di centrodestra Stefano Parisi. In controtendenza con l’andamento generale di questa tornata elettorale amministrativa è il dato riguardante i voti assoluti: per l’ex commissario unico per Expo 2015 è positivo anche questo dato rispetto al 2016 (+ 53.322 che si concretizza in un più 16%).
In una città storicamente di sinistra e in cui il PD ha sempre fatto registrare alti livelli di consenso, è proprio il Partito del Nazareno a fare la voce grossa e ad imporsi con distacco come primo partito cittadino (33,9%), eleggendo 20 consiglieri, tra cui l’assessore all’urbanistica e verde uscente Pierfrancesco Maran, che con 9.166 preferenze è stato il più votato, la vicesindaca uscente e già riconfermata da Sala, Anna Scavuzzo, che è risultata anche essere la donna più votata, e il presidente uscente del Consiglio Comunale, Lamberto Bertolè. Saranno 5 i consiglieri della civica Beppe Sala Sindaco (9,2%) a Palazzo Marino: i più votati sono stati Emmanuel Conte, già consigliere comunale e presidente della Commissione Bilancio, e Martina Riva, giovane consigliere municipale uscente e praticante avvocato. A seggio per la coalizione di centrosinistra anche gli ambientalisti di Europa Verde (5,1% e 3 eletti), con l’ex dem Carlo Monguzzi, l’ex co-portavoce nazionale dei Verdi Elena Grandi e Francesca Chucchiara. A chiudere il cerchio i due eletti della lista Riformisti – Lavoriamo per Milano (4,0%) che al suo interno ha raccolto rappresentanti di Italia Viva, Azione, +Europa e che infatti elegge la deputata di IV e già delegata alle disabilità di Sala, Lisa Noja e Giulia Pastorella di Azione e l’unico eletto della lista Milano in Salute (1,6%), ovvero il medico Marco Fumagalli.
Si ferma al 32% la corsa a primo cittadino del capoluogo lombardo del candidato di centrodestra Luca Bernardo, che in parte paga le divisioni interne alla coalizione, recentemente sfociate in critiche nei suoi confronti sia da parte della Lega, con il ministro Giorgetti che aveva bocciato la sua candidatura, che da parte di Forza Italia, con Berlusconi che ha posto sotto la lente d’ingrandimento il ritardo e l’approssimazione con cui è stata selezionata la sua candidatura. Da sottolineare come la scelta della personalità del primario di pediatria non abbia fatto grande presa nemmeno sugli elettori, che infatti sono ricorsi con buona frequenza al voto disgiunto: a testimonianza di ciò, il fatto che il candidato sindaco abbia ottenuto circa un punto percentuale in meno rispetto al totale delle liste a suo sostegno.
Nel corso di questa tornata elettorale, la coalizione di centrodestra ha vissuto un parziale mutamento della geopolitica interna: la Lega (10,7%) di Matteo Salvini, non avanza, anzi arretra leggermente rispetto all’11,8% delle Comunali di cinque anni fa, tuttavia incrementando la propria truppa in Consiglio Comunale di due rappresentanti ed eleggendo tra gli altri Silvia Sardone, che con 3585 preferenze è stata la più votata del centrodestra, e la presidente di Federfarma Lombardia Annalisa Racca.
Passa da zero a 5 consiglieri Fratelli d’Italia (9,8%) che fa praticamente un salto triplo rispetto al poco più che simbolico 2,4% del 2016, eleggendo anche il capolista Vittorio Feltri e i due “protagonisti” dell’inchiesta di Fanpage sulla “Milano nera” Chiara Valcepina e Francesco Rocca; cala drasticamente Forza Italia (7,1%) spedendo in consiglio comunale solo 3 consiglieri, tra cui il capogruppo in Regione Lombardia Gianluca Comazzi, perdendo 13 punti percentuali rispetto al 20,2% del 2016. Vanno a seggio anche la civica Luca Bernardo Sindaco e Milano Popolare con un eletto ciascuno.
Tra gli altri candidati sindaci, buono il risultato del senatore e leader di Italexit Gianluigi Paragone (3,0%), che non ha però eletto alcun consigliere poiché non ha superato la soglia di sbarramento del 3%, mentre deludente il risultato
della candidata grillina Layla Pavone (2,7%), giunta quarta ed anche lei rimasta fuori da Palazzo Marino. A configurarsi quindi un consiglio comunale perfettamente bipolare, con le due grandi coalizioni ad essersi spartite i seggi e ad indossare le vesti di maggioranza (Csx) e opposizione (Cdx).
La situazione nei Municipi
A livello municipale il centrosinistra ha conquistato la maggioranza in tutti i 9 Municipi cittadini dove in nessun caso si andrà al ballottaggio, riuscendo a ribaltare il 5-4 del centrodestra dell’ultima tornata amministrativa. In particolare, il centrosinistra sottare al centrodestra: il municipio 2, amministrato negli ultimi cinque anni dal leghista Samuele Piscina; il municipio 4, dove il leghista ed ex presidente Paolo Bassi perde malamente con Stefano Bianco (54%); il municipio 5, con l’esponente di Milano Popolare Alessandro Bramati che non riesce nella riconferma; il municipio 7, con Silvia Fossati nuova presidente nell’ex feudo elettorale di FI; il municipio 9 che vede eletta presidente l’ex consigliere comunale Anita Pirovano.
Napoli, Manfredi ottiene il triplo dei voti di Maresca
A Napoli, dopo aver scrutinato tutte le 884 sezioni, vince al primo turno il candidato giallorosso Gaetano Manfredi (già Ministro dell’università e della ricerca nel governo Conte II), che ha fatto registrare il 62,9% delle preferenze riuscendo anche a realizzare un vero e proprio en plein nelle Municipalità, portando alla vittoria 10 candidati presidenti su 10.
Alle sue spalle, con ben quarantuno punti di distacco si è classificato Catello Maresca, candidato del centrodestra partenopeo, fermatosi al 21,9%. Antonio Bassolino, già sindaco di Napoli per due mandati dal 1993 al 2000 e candidatosi da indipendente (appoggiato da liste di centro tra cui anche Azione) ha ottenuto l’8,2% mentre l’assessore ai giovani uscente Alessandra Clemente, appoggiata da De Magistris, non ha superato il 6%. Basso, anche nel capoluogo partenopeo, il dato relativo all’affluenza: solo il 47,17% dei 776.751 aventi diritto si è recato a votare.
Come per Milano e Bologna anche a Napoli il centrosinistra vince dunque senza passare per il ballottaggio superando addirittura la soglia del 60% dei consensi (con il Partito Democratico come primo partito), ma tutto questo non lo ottiene con le sue sole forze. La vittoria porta la firma anche del Movimento 5 Stelle seppur quello dei pentastellati sia stato un contributo simbolico. Nonostante abbiano partecipato attivamente alla campagna elettorale napoletana tutti i “big” del Movimento (da Conte a Di Maio passando per D’Incà), la lista ha totalizzato solo il 9,7% dei consensi conquistando 5 seggi ed eleggendo, tra gli altri, l’assessore allo sport uscente, Ciro Borriello e l’ex collaboratrice di De Magistris, Flavia Sorrentino. Si è posizionato al terzo posto all’interno della coalizione dietro al PD che ha fatto registrare il 12,2%, mandando in consiglio comunale 6 suoi rappresentanti, tra cui il più votato tra tutti i candidati cittadini, Gennaro Acampora (4400 preferenze) e la capolista Enza Amato e la Lista Manfredi Sindaco (9,9%) che conquista 5 seggi, che sarà rappresentata dal giovane professore di liceo Walter Savarese.
Vanno a seggio per la coalizione anche Napoli Solidale Sinistra (2 eletti), che elegge l’assessore uscente Sergio D’Angelo, Napoli Libera (2 eletti), che spedisce in consiglio comunale il consigliere ai trasporti del governatore De Luca, Nino Simeone, Azzurri Noi Sud (2 eletti), con l’avvocato Anna Maria Maisto espressione di Italia Viva e Noi Campani che vede eletti Roberto Minopoli e Pasquale Sannino. Un seggio ciascuno per Adesso Napoli, Europa Verde, Centro Democratico e Moderati.
Niente da fare invece per il centrodestra capeggiato dal magistrato Catello Maresca che non è riuscito a contrastare e superare l’ex ministro Manfredi, complici probabilmente alcuni errori di posizionamento politico e anche i numerosi problemi riscontrati nel corso della campagna elettorale, a partire dall’esclusione dalla competizione elettorale della Lega dovuta ad alcune irregolarità emerse al momento della presentazione delle liste. La coalizione manda a Palazzo San Giacomo otto consiglieri compreso il candidato Maresca: tre seggi per Forza Italia (6,7%), primo partito del centrodestra nel capoluogo campano, che elegge l’imprenditore originario del Vomero, Domenico Brescia, l’ex consigliere comunale Salvatore Guangi e infine Iris Savastano. Fratelli d’Italia (4,4% e 1 seggio) porta in aula il solo Giorgio Lombardi. A chiudere il cerchio un rappresentante ciascuno per Cambiamo!, Napoli Capitale ed Essere Napoli.
Accedono in consiglio comunale anche i candidati sindaci perdenti che hanno già fatto sapere di posizionarsi tra le fila dell’opposizione: l’ex sindaco Antonio Bassolino e l’ex assessore alle politiche giovanili Alessandra Clemente.
Torino, al ballottaggio sarà sfida serrata tra Lo Russo e Damilano
Sarà il ballottaggio a decidere il nuovo sindaco del capoluogo piemontese: a sfidarsi saranno Stefano Lo Russo, candidato del centrosinistra che al primo turno ha ottenuto il 43,7% dei consensi, e l’imprenditore Paolo Damilano, che ha fatto registrare il 38,9%. Terza la candidata grillina e capogruppo uscente in Consiglio Comunale, appoggiata anche da Europa Verde, Valentina Sganga con il 9,2%. Molto bassa l’affluenza dal momento che si sono recati alle urne il 48,1% dei 689.684 aventi diritto: il peggior risultato della storia di Torino.
Sicuramente positivo il risultato di questa prima tornata elettorale per Stefano Lo Russo che, nonostante i pronostici lo accreditassero dietro a Damilano, è riuscito a strappare il primato, con il Partito Democratico (28,6%), lista più votata, a trainare il consenso dell’intera coalizione. A completare il quadro, le liste civiche che raggiungono il 10%, tra cui i centristi Moderati di Giacomo Portas al 3,4%, mentre la sinistra ecologista dell’ex assessore all’istruzione Federica Patti è al 3,6%. In ottica secondo turno risulterà fondamentale la capacità del candidato, dopo cinque anni di strenua opposizione in Consiglio Comunale, di ricucire con il Movimento 5 Stelle, che ha già fatto sapere tramite la sindaca uscente Chiara Appendino che non farà apparentamenti formali ma che ricoprirà presumibilmente il ruolo di ago della bilancia in vista del voto al secondo turno.
Proprio i grillini, dopo non aver trovato l’accordo con il PD e la mancata ricandidatura di Chiara Appendino, hanno intrapreso un percorso ad ostacoli, terminato con una performance elettorale tutto sommato modesta rispetto all’exploit del 2016.
Dal canto suo, il centrodestra arriva al ballottaggio parzialmente ridimensionato nonostante i buoni risultati in parti dei quartieri Centro, Crocetta e Collina. Rispetto alle previsioni della vigilia che accreditavano Damilano davanti a Lo Russo, la performance non entusiasmante delle liste ha contribuito ad indebolire un candidato che, nonostante la scarsa esperienza elettorale, è riuscito a raccogliere quasi un punto in più dei partiti che lo hanno appoggiato. Più in generale, è da sottolineare il buon risultato della lista civica del candidato Torino Bellissima (11,9%), inizialmente unica a sostegno del candidato, impostasi come più votata, a testimonianza di un voto più indirizzato verso figure di rilievo della società civile che di appartenenza politica. Tra i partiti, può certamente sorridere Fratelli d’Italia che con il 10,6%, ha superato di poco la Lega ferma (9,8%) ribaltando completamente i rapporti di forza delle Regionali del 2019 quando il partito di Salvini sopravanzò di quasi 22 punti gli ex-PdL. Infine, Forza Italia raccogliendo il 5,3% dei voti, potrebbe rischiare di non portare suoi candidati in Sala Rossa qualora Damilano non dovesse vincere.
Bologna, Lepore costruisce un campo largo di centrosinistra e stravince
Come da pronostici, il candidato del centrosinistra allargato al M5S Matteo Lepore ha vinto al primo turno con il 61,9% doppiando il candidato del centrodestra Fabio Battistini che si è fermato a 29,6% dei voti e conquistando tutte le 18 zone di Bologna. Gli altri candidati hanno preso percentuali irrisorie, con Marta Collot di Potere al Popolo che ha preso il 2.5% e Stefano Sermenghi di Bologna Forum civico (BFC) il 2%. Nonostante la larga vittoria di Matteo Lepore, l’affluenza è stata molto bassa (51,18%).
L’ex Assessore alla Cultura Matteo Lepore ha vinto con la percentuale più alta mai registrata a Bologna e conquista con facilità lo scranno di sindaco, dopo che cinque anni fa Virginio Merola (Pd) aveva sconfitto il candidato del centrodestra soltanto al ballottaggio. Merito senza dubbio della capacità di tenere insieme l’intero ecosistema della sinistra bolognese, unendo renziani e grillini, anche dopo la dura battaglia delle primarie. L’esperimento giallorosso risulta vincente ma restano dubbi sul M5S che ottiene un risultato deludente.
Il PD fa da traino alla coalizione con il 36,5% dei voti, attestandosi come primo partito della città, ottenendo quasi gli stessi voti delle comunali del 2016 ma perdendo qualche punto percentuale rispetto alle regionali del 2020, con il leader delle Sardine Mattia Santori che ha fatto il boom di preferenze nella lista del PD. Si difendono bene anche le liste civiche. La lista Coalizione civica per Bologna, che al suo interno ingloba Articolo 1 di Vasco Errani e E-R Coraggiosa della vicepresidente dell’Emilia-Romagna Elly Schlein, è la seconda forza della coalizione con il 7,3% e schiera Emily Clancy, la candidata con più voti di preferenza in questa tornata elettorale.
A poca distanza troviamo la lista Lepore sindaco al 6.4%. Disfatta, invece, per il M5S di Giuseppe Conte che perde rispetto al 2016 più di 20.000 voti e scende al 3,37%. Percentuale non decisiva per la vittoria di Matteo Lepore. Piccola vittoria per la lista Anche tu Conti, formata dai piddini e renziani che avevano sostenuto Isabella Conti (IV) durante le primarie del centrosinistra, che ha riportato il 5,7% mentre Europa Verde resta sotto alla soglia del 3%, ma si aggiudica comunque un seggio. Il PSI insieme a Volt invece escono sconfitti, non raggiungendo l’1%. Quanto al consiglio comunale, il Pd perde qualche consigliere rispetto al 2016 (-5), nonostante il grande risultato, ma si allarga la coalizione di centrosinistra che passa da uno a nove consiglieri.
Il centrodestra si lecca le ferite: la sconfitta di Fabio Battistini era prevedibile ma a preoccupare è il declino della Lega, che meno di due anni fa alle regionali aveva rappresentato una reale minaccia per la regione da sempre fortino rosso, mentre oggi dimezza i suoi voti e si attesta al 7,7%, scavalcato da Fratelli d’Italia che sfonda la doppia cifra e prende il 12,6%. A Bologna i rapporti di forza tra i due partiti si sono invertiti: alle comunali del 2016, la Lega era il primo partito della coalizione e FdI non aveva ottenuto neanche un seggio; in questa tornata elettorale, FdI conferma il trend nazionale e si porta a casa 5 seggi, quintuplicando i suoi voti mentre la Lega resta indietro. Dimezza i voti rispetto al 2016 anche Forza Italia che prende il 3,8%, superato anche dalla lista civica di Battistini che prende il 4,5% e un seggio, annunciando il momento della riflessione. Sotto all’1% si ferma il Popolo della Famiglia.
Risultato sorprendente per la portavoce nazionale di Potere al Popolo Marta Collot che resta fuori dal Consiglio comunale ma ottiene 3.801 voti preferenza, intercettando i voti della sinistra contraria a Matteo Lepore mentre Stefano Sermenghi di BFC ottiene più di 3.000 voti, con la sua lista che ottiene poco più dell’1%.
Trieste, Dipiazza e Russo andranno al ballottaggio
A Trieste si sono concluse le operazioni di spoglio delle schede elettorali e il sindaco uscente Roberto Dipiazza, nonostante il suo 49,6% dei consensi registrato, non riesce a raggiungere la maggioranza assoluta al primo turno. Appuntamento dunque rimandato al 17-18 ottobre dove il sindaco uscente sfiderà al ballottaggio il candidato del centrosinistra Francesco Russo, che ha fatto registrare il 31,6%. Decisamente positivo il risultato di Riccardo Laterza (8,6%) leader della lista civica di sinistra Adesso Trieste che ottiene la terza posizione, davanti al candidato del Movimento 3V Ugo Rossi (4,5%), vera sorpresa di queste elezioni e portavoce di una protesta e dei No vax e ad Alessandra Richetti del Movimento Cinque Stelle (consigliere nella sesta circoscrizione) che non riesce a superare il 3,7%, confermando un trend in discesa del movimento pentastellato che nel 2016 aveva ottenuto con Paolo Menis invece il 18,2% .
Cambiano dunque gli equilibri del centrodestra all’interno della regione che è la terra dei leghisti Luca Zaia e Massimiliano Fedriga, con un lieve arretramento della Lega che perde sempre più terreno a favore del partito di Giorgia Meloni che invece continua a crescere (perfino in quelle che un tempo venivano considerate roccaforti leghiste).
È possibile osservare questo trend anche nella città di Trieste, con l’ascesa di Fratelli d’Italia come primo partito della città (e seconda lista più votata in queste elezioni) con il 15,5% di preferenze ottenute, davanti alla Lega che si ferma al terzo posto a 10,3% (superata di un punto addirittura dalla lista civica Dipiazza Sindaco) e davanti a Forza Italia (8,5%).
Al lato opposto, invece, con il 16,5% dei voti il Partito Democratico è la lista più votata nella città di Trieste (come avvenuto anche a Napoli) e questo è la conferma di un centrosinistra presente e compatto che, nonostante dunque l’ampio distacco tra i due candidati, spera in una totale adesione dei candidati delle altre liste indipendenti del centrosinistra (cosa non scontata in quanto la rivelazione di questa elezione, Riccardo Laterza, non ha ancora dato chiare indicazioni di voto poiché intende creare rompere con la vecchia politica) e del Movimento Cinque Stelle, che si è dichiarato aperto ad una possibile coalizione giallorossa triestina, poiché eventuali apparentamenti potrebbero ridurlo sensibilmente e aprire nuovamente la sfida.
Nord, la Lega riconferma tutti gli incumbent ma a Varese la sfida è aperta
Il Nord Italia si conferma storico bacino elettorale del centrodestra. Pur in una tornata elettorale non favorevole alle forze conservatrici, negli otto comuni settentrionali con più di 40.000 abitanti al voto, si registrano sei vittorie al primo turno di cui ben cinque ad appannaggio del centrodestra.
A Novara, il sindaco uscente leghista Alessandro Canelli si conferma alla guida della città piemontese sfiorando il 70% dei voti a capo di una coalizione in cui la Lega prende il 23,3% ma sopravanza FdI di soli 22 voti. A fare la parte del leone è Forza Novara che dal 4,54% alle ultime consultazioni nel 2016 ha raggiunto un sorprendente 16,7%: una lista civica dalla forte ispirazione di destra che reclamerà la propria parte tra la giunta e la presidenza del consiglio.
Elezioni Amministrative – Comuni superiori a 40.000 abitanti - Nord 3 – 4 ottobre 2021
A Busto Arsizio, situazione simile per il meloniano Emanuele Antonelli che con il 55,1% viene riconfermato sindaco a capo di una coalizione di centrodestra battendo il dem Maurizio Maggioni (20,7%) e soprattutto l’ex sindaco di FI Gigi Farioli che ha corso in solitaria a capo di una coalizione composita dopo alcuni screzi con il proprio partito (14,7%). A Gallarate, si impone per la seconda volta il leghista Andrea Cassani (52,8%) contro la candidata di centrosinistra Margherita Silvestrini (34%). Anche a Pordenone, viene riconfermato il sindaco uscente Alessandro Ciriani, fratello del senatore di FdI Luca con un plebiscito (65,4%) trainato dall’ottimo risultato della sua civica che raggiunge il 27,6%, undici punti in più del PD (16,5%).
Chioggia è l’unico comune che cambia colore dal momento che il leghista Mauro Armelao (55,6%) batte i competitor ed estromette i grillini che hanno amministrato negli ultimi cinque anni la città clodiense. Il centrosinistra, invece, si conferma a Rho (MI) al primo turno con il vicesindaco uscente dem Andrea Orlandi che con il 52,5% dei voti mette in riga il centrodestra di Daniele Paggiaro (32,6%).
Va invece al ballottaggio Savona, attualmente governata dal centrodestra, ma che vedrà al secondo turno due civici, Marco Russo e Angelo Schirru rispettivamente appoggiati da centrosinistra e centrodestra con il primo in vantaggio di dieci punto sul secondo. In vista del ballottaggio bisognerà vedere cosa faranno gli esclusi dal momento che il 9,8% del grillino Manuel Meles e il 3,9% dell’ex coordinatore cittadino di FdI Luca Aschei fanno gola a tutti.
Chiude il cerchio Varese, dove il sindaco uscente dem Davide Galimberti appoggiato dal centrosinistra allargato al M5S si inerpica fino al 48% e ora dovrà vedersela al ballottaggio con il leghista Matteo Bianchi (44,9%), espresso in extremis per sostituire il candidato in pectore Roberto Maroni. Oltre al tema dell’affluenza, in una competizione così tirata saranno decisivi gli apparentamenti in particolare dell’ex vicesindaco PD Daniele Zanzi (2,8%) e del referente cittadino di Azione Carlo Alberto Coletto (2%)
Centro, la Romagna rimane rossa e a Latina Coletta cerca una difficile rimonta
L’Emilia-Romagna si conferma terra d’elezione per il centrosinistra. Oltre a Bologna, anche Ravenna e Rimini assistono alla vittoria al primo turno del candidato progressista. Nella città di Sant’Apollinare, Il sindaco uscente dem Michele De Pascale vince al primo turno con quasi il 60% dei suffragi quasi triplicando il consenso del candidato di Fratelli d’Italia e Lega, il moderato Filippo Donati che si ferma la 22,5%.
Situazione simile anche a Rimini dove l’assessore alla sicurezza uscente Jamil Sadegholvaad (PD) ha vinto con il 51,3% dei voti nonostante la competizione a sinistra con Gloria Lisi che, con l’appoggio di M5S e ambientalisti, è arrivata all’8,9%. Il centrodestra ha scontato le difficoltà nell’individuare un candidato sindaco che potesse soddisfare la coalizione e, alla fine, la decisione di puntare sull’ex sindaco di Bellaria Enzo Ceccarelli non ha pagato (32,9%).
Elezioni Amministrative – Comuni superiori a 40.000 abitanti - Centro 3 – 4 ottobre 2021
A Grosseto, viene confermato sindaco il civico di centrodestra Antonfrancesco Vivarelli Colonna con il 56,2% dei consensi che sfrutta il buon risultato di FdI (18,6%) che mette dietro la Lega (14,2%) e la civica del sindaco (17,2%). Non paga, nella città maremmana, l’alleanza tra PD e M5S che puntava sull’ex segretario comunale dem Leonardo Culicchi. Nel Lazio, il nuovo sindaco di Latina verrà deciso dal ballottaggio. Il sindaco uscente Damiano Coletta, in questa occasione appoggiato anche dal PD, è rimasto attardato (35,5%) rispetto al candidato di centrodestra, l’ex sindaco e deputato Vincenzo Zaccheo che ha sfiorato la vittoria al primo turno fermandosi però al 48,5%. Il favorito per la vittoria sembra proprio quest’ultimo anche alla luce della tradizionale forza dei partiti di destra nella Città di Fondazione.
Sud, tutti al ballottaggio tranne Salerno dove rivince il delfino di De Luca
A differenza di quanto accaduto nelle città del Nord, solo Salerno ha eletto al primo turno il proprio sindaco, per tutti gli altri sarà necessario il ballottaggio. Nella città del governatore campano De Luca, ha vinto proprio il candidato esponente di Campania Libera, Vincenzo Napoli con il 57,4%. A Battipaglia, si sfideranno al ballottaggio il sindaco uscente Cecilia Francese (a capo di alcune civiche dopo che Forza Italia ha virato su un altro candidato) e Antonio Visconti (appoggiato da PD, centristi e deluchiani) che hanno raccolto rispettivamente il 45,7% e il 33,1% dei voti.
In vista del ballottaggio entrambi i candidati stanno puntando agli elettori di Maurizio Mirra, a capo della civica Liberamente che ha raccolto l’8,2%. Partita ancora più aperta a Caserta, dove il sindaco uscente di centrosinistra Carlo Marino (ex FI ora nel PD) guida con il 38,3% e se la vedrà con il centrodestra del consigliere regionale leghista Giampiero Zinzi (28,7%); esito incerto, come detto, che dipenderà dal comportamento al secondo turno degli elettori di sinistra che hanno votato Romolo Vignola (10,7%) e Raffaele Giovine (8,1%) e dei liberali civici che hanno scelto Pio Del Gaudio (13%).
A Benevento, Clemente Mastella manca la conferma al primo turno di un soffio: la coalizione formata da centristi, deluchiani, forzisti e civici arriva al 49,4% e quindi dovrà vedersela al secondo turno con Luigi Perifano (PD) fermo al 32,4% che punterà a recuperare lo svantaggio cercando di convincere gli elettori del civico Angelo Moretti (13,2%).
Elezioni Amministrative – Comuni superiori a 40.000 abitanti - Sud 3 – 4 ottobre 2021
Ad Isernia, il centrodestra sembra avere vita facile al ballottaggio. Il candidato di Forza Italia e Lega Gabriele Melogli, pur fermandosi al 42,9% con lo sfidante di centrosinistra Piero Castrataro che lo insegue di un’incollatura al 41,7%, potrebbe contare sull’appoggio del candidato civico Cosmo Tedeschi che, sostenuto da Fratelli d'Italia, ha raccolto il 15,5%.
Situazione più in salita a Cosenza dove, nonostante la vittoria di Occhiuto in Regione, il candidato di centrodestra (appoggiato tra l’altro dal fratello del neogovernatore) Francesco Caruso si ferma al 37,4% e dovrà vedersela il 17 e 18 ottobre con il quasi omonimo Franz Caruso a capo di una coalizione di centrosinistra (23,3%). A decidere le sorti della competizione elettorale saranno gli accordi che i due Caruso riusciranno a chiudere con i candidati sindaco esclusi dal ballottaggio, in particolare con, da una parte, Francesco De Cicco, assessore uscente della giunta di Occhiuto (13,9%) e Francesco Pichierri appoggiato da Udc e NcI (3,5%) e di Biancamaria Rende, appoggiata da M5S e da Tesoro Calabria di Carlo Tansi (12,7%) e Valerio Formisani di Cosenza in Comune (4,8%).
Chiude il cerchio il comune di Cerignola dove l’ex sindaco Franco Metta ha preso quasi il 30% dopo che il comune da lui guidato è stato sciolto per infiltrazioni mafiose due anni fa. A sfidarlo sarà l’ex deputato dem Francesco Bonito a capo di una coalizione di centrosinistra allargato (23,3%). La situazione è quanto mai fluida dal momento che il terzo arrivato, il candidato per il centrosinistra alle scorse Comunali, Tommaso Sgarro è arrivato al 21,6% grazie anche all’appoggio di Azione e il candidato di centrodestra Antonio Giannatempo si è fermato al 18,4%.
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Speciale Amministrative 2021 - I risultati del primo turno - 7 ottobre